Cristina Annino, seudónimo de Cristina Fratini.
Nací en Arezzo, ITALIA y en la actualidad vivo y trabajo en Roma. En 1968 publiqué mi primer libro "Non me lo dire, non posso crederci" publicado por Techne en Florencia, la ciudad donde me gradué en literatura moderna, con una tesis sobre el poeta peruano César Vallejo.
La colección fue publicada por Eugenio Miccini, fundador en el 60 junto con Lamberto Pignotti, del Grupo 70. En este movimiento de músicos, pintores adheridos (A. Bueno, Chiari y otros).
En 1977 publico Ritratto di un amico paziente, Roma, Gabrieli. En 1979 Boiter, con Forum, Forlì (novela). En 1980 Il Cane dei miracoli, Foggia, Bastogi. En 1984 L'udito cronico, in Nuovi Poeti Italiani n°3 , a cura di Walter Siti, Torino, Einaudi.
En 1987, Madrid, Corpo 10, Milano, que John Smith dio el premio ruso Pozzale en 1989.
- En 2000 -, la publicación de Gemello Carnivoro , Faenza, 2002 los cuadernos del círculo de artistas. A continuación, Macrolotto, Canopo, Prato, in collaborazione con il pittore Ronaldo Fiesoli. All'inizio del 2008 Casa d' Aquila , edito da Levante Editore, Bari.
Además, en esos años comienzo a pintar y realizo varias exposiciones con miembros del grupo del grupo y algunas personales.
Mi último libro se llama Magnificat (poemas 1969-2009) publicado por Puntoacapo editor, comisariada por Luca Benassi, con una introducción de Stephen Guglielmin, antología de todos mis libros de poesía publicados desde 1968 hasta 2009, que propone una obra antológica poética de cuarenta años y que incluye una antología inédita que da título al volumen.
Desde siempre yo trabajo en revistas literarias italianas y extranjeras, me han incluído en muchas antologías de poesía italiana, varios libros han sido traducidos a idiomas extranjeros, especialmente españoles, Sudamericana, Alemán e Inglés.
LA CASA DEL LOCO
Entro despacio en la casa del loco;
no abro las persianas, no quito el polvo.
Llego a su habitación que aún duerme
demasiado aire en la mañana para ojos
de doliente marrón pálido. Miro
la nuca rígida y el cuerpo que no siente
siquiera el pijama.
Me siento al lado y le llevo el asfalto
limpiándolo del ruido, del olor del mes.
del peso de la gente.
Intento no abrumarlo con nada;
su cuerpo vacío es una habitación: sueños
soplan dentro de pompas de viejo dolor.
¿Qué es la razón? Llego aquí y me tiendo
al pie de su cama como al de una planta
y entra dentro de mí, desde el loco, casi
cable eléctrico, una blanca, cansada,
atroz vitalidad.
LA CASA DEL FOLLE
Entro piano nella casa del folle;
non apro le persiane, non tolgo la polvere.
Arrivo alla sua camera che ancora dorme
nel mattino troppa aria per occhi
di dolente marrone pallido. Guardo
la nuca rigida e il corpo che non sente
neppure il pigiama.
Mi siedo accanto e gli porto l'asfalto
ripulendolo del rumore, dall'odore del mese,
dal peso della gente.
Cerco di non affollarlo di niente;
il suo corpo vuoto è una stanza: sogni
vi soffiano dentro bolle di vecchio dolore.
La ragione cos'è? Arrivo qui e mi stendo
al piede del suo letto come a una pianta
ed entra dentro di me, dal folle, quasi
fune elettrica, una bianca, stanca
atroce vitalità.
Todas las consecuencias...
Todas las consecuencias se realizaron.
Ya lo acepto desde hace mucho. Ella
descendió delante de mí, ladrillo sobre ladrillo, como
una casa, desde el autobús, bella y como un evento
excepcionalmente grave. Quienes hacen
por mí, pensándome, vale decir, decidiéndome, cómo
decirlo, el destino, o los otros sobre mi cabeza, tienen
la longitud mensurable y el clima breve de aquel pedazo de calle. Jamás
tuve el sentido del final como al recorrerla. Podré
estarme sin ella; en el sueño aprendo cosas de mi
cuerpo sin hacer nada, y medio mundo está bajo
el sol estúpido. Pero
igual al final haremos lo mismo:
las escaleras, el fregadero, el hambre, las habitaciones. Con calma. Y qué
bueno al menos no hablar nunca de Ritsos.
"Madrid", 1987, Magnificat. Poesie 1969-2009, Puntoacapo Editrice, Novi Liguri, 2009 En Anterem
Vía Silvia Rosa
Versión de Jorge Aulicino
Tutte le conseguenze sono state fatte
Ormai l’accetto da molto tempo. Lei
è scesa davanti a me, mattone dopo mattone come una
casa, dall’autobus bella e quale un evento
eccezionalmente pesante. Chi fa
per me pensandomi, vale a dire decidendomi, come
dire il destino o gli altri sulla mia testa, hanno
la lunghezza misurabile e il clima breve di quel pezzo di strada. Mai
ho il senso della fine quanto percorrendola. Potrei
stare senza: nel sonno imparo cose del mio
corpo non facendo niente, e mezzo mondo è sotto
il sole stupido. Ma le
faremo alla fine lo stesso le
scale, l’acquaio, la fame, le stanze. Con calma. E che
bontà almeno non parlare mai di Ritsos.
Ottetto per Madre
Il Panda
Senza pace, con pena e senza girarmi
mai, pestando
mica pepe o caffè ma gardenie, io amo
la mamma ei topi; li metto insieme chissà
perché. O ancora, Perché volere bene a quel
modo? Spezzato così in due, collo in già,
polvere senza cerniere, bottone, qualcosa.
Sempre
senza girarmi. I Perché chiarendo la vita ai
tranvai, alle piante. Lei, pura,
mi dà
questa riserva di bambù. Nient'altro.
Poi via. Io
su, che l'ho addosso oramai e non posso
schivarla, pestarla nemmeno, mettendo
con cura ogni piede tra l'erba.
2
Si fa sabbia così, si sfalda
al vento di casa mia. Accusa
altre cose deboli, la cecità, per
esempio. Io non so
cosa dire quando siede su me come
fossi cemento. Oppure
vola, ci credo, va via, si stende
altissimamente e in largo. La
guardo con quella
paura dei nani per un monumento.
3
Lei ora elegante, vistosa come le madri, si stacca dal
niente e ride. Qualcosa
dei venti, d'urgente, una fuga, un ritorno, mi lega
a lei che darei
tutto il corpo per quella risata.
E' salita
col petto in su verso l'estasi delle nubi,
a quella distanza più nere che altro; poi
È scesa; pioveva. Ha
saltato la corda coi piedi fiammanti di santa e al collo
perle vere.
4
La vecchia Lina è caduta, cantando, di
schiena, com'una forza muta d'un tratto
cedesse, togliendo le staffe dietro. Era a cavallo e
sbatte in terra. Si prende
al viso tirando invano le cataratte. Eccola
lì, la vecchia canina mamma.
5
Una donnina tutta lepre, sveglia,
s' accontenta della giornata e beve acqua
com' una spugna. "Ehi!, non ho mica cent'anni
per aspettare che te ne vada! Sembri Lazzaro".
Più tardi
sfoneremo i capelli alla sera. Rivede
tante cose crollare per un capello, saranno
persone, cose, non sa, ma non meraviglia
che resti il sughero ancora sulla bottiglia
del fumo. Ce la passiamo
a vicenda. Anche la
città s'incendia ai suoi piedi ora
ch'è buio e lei evapora sulla
pira, entrando in me con gas
letale. Siringa. Chiudo
in tempo col tappo il foro,
e niente è più bello qui: lo
sguardo di lei sull'anello al dito, su
me, poi qualcosa di buono, la stufa, quel
caldo oramai più fratello d'un uomo.
6
Potrei tirar su con le mani
tutta l'acqua del mare. Anche più. E
attraverserei il fuoco da qui a lei in questo
oggi frocio. L'hai
vista l'altro giorno com'era? Piccina. Tutto il
mondo piccino. Le rotaie del destino oramai
fanno clic. Ma lo sai
quanto costa un'ochetta così? Che
sotto terra, dopo le cene, il quadrato di tanta insonnia,
con lei persino
lì starei bene.
7
Volano gli spiriti affettivi di qua e di là su
noi paurosamente soli, salvati
allora dalla coltre ch'ha parato
il salto. Quel
cinema o quella morte la ribeviamo in
piedi nei ricordi di lei ogni sera. Ossessivi.
E' per me esplosione sull'intera linea di fuoco,
perché troppo volano gli spiriti affettivi, bruciati
come cera dal fosforo.
Penitenza
Vera, quei canti della mamma al suolo che
cantilena ginocchioni senza memoria.
8
RICHTER
Ancora
scale richter. Fuori il sole
fa foia. Ma qui! muore la
mamma com'un uccello. Pari dignità. Bisogna
dirlo che sta andando via. E' tutta
nel becco, tutta lì, tutta vecchie
penne senza più cervello.
Non vi capiti mai d'essere misurati;
tanto
è l'ardore tra noi. Più
liturgia di dolore sacro, con scranni
cerebrali e vesti da cerimonia; chiusi
sempre tra le pareti come mosconi.
Sono
Poco e troppo le cose che vi posai con le mie
Ali: tappeti celesti e candelabri vuoti. Anche
dentro l'esilarante Richter, che assuefà
perdio, metà
come sono, ho sete, ma non
bevo io disegni divini mai
innocui.
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