Lorenzo Calogero
(Melicuccà, 28 de mayo de 1910 - Melicuccà, 25 de marzo de 1961) fue un poeta italiano.
Médico calabrés y poeta del siglo XX. El tercero de seis hijos, nació en Melicuccà, en la provincia de Reggio Calabria, en 1910 por una familia rica. Se graduó en medicina en Nápoles en 1937 y al año siguiente obtiene el título para ejercer la medicina en Siena. La suya fue una vida atormentada, obsesionado por la idea de la muerte. Después de dos intentos de quitarse la vida (1942 y 1956), murió en extrañas circunstancias en su país de origen, en la soledad extrema el 21 de marzo de 1961, ha sido visto por última vez por los vecinos. Su cuerpo fue encontrado tres días después, acostado en la cama en su habitación.
Se menciona en varios textos de crítica literaria. Sus poemas fueron publicados, editados por Roberto Lerici, en la editorial del mismo nombre en Milán entre 1962 y 1966.
Vacila alguno de estos hilos...
Vacila alguno de estos hilos
de aire suspensos cuando sobre la rada
soleada hojas tristes de sombra
esparce el otoño.
La muerte
con esto bien se corresponde,
como si, detrás del vitral liso
de las cosas, para hablarnos,
estuviese con su rostro pobre
el rostro pobre
de cada uno.
Los besos, las persianas verdes...
Los besos, las persianas verdes,
verdes árboles modestos, verdes y móviles
sobre los declives del huerto.
Ansioso va un dibujo sobre los techos.
Una corola se desliza sobre personas muertas.
Sabías que intacto, feliz un deseo
era el golpe de un sueño entreabierto,
sueño cerrado liviano de una muerte.
Lorenzo Calogero (Melicuccà, Italia 1910–1961), Sogno più non ricordo (1956-58), en Lorenzo Calogero. Poesie
Versiones de Jorge Aulicino
Esita qualcuno di questi fili...
Esita qualcuno di questi fili
d’aria sospesi quando sulla rada
assolata foglie tristi d’ombra
sparge l’autunno.
La morte
ti si addice cosí bene
come se, dietro la vetrata glabra
delle cose, a parlarci,
stesse col suo viso povero
il viso povero
di ognuno.
I baci, le persiane verdi...
I baci, le persiane verdi,
verdi alberi modesti, verdi mobili intorno
sulle piagge dell’orto.
Trepido è un disegno sui tetti.
Una corolla scivola su persone morte.
Sapevi quanto intatto, leggiadro un desiderio,
era colpo di un sogno dischiuso,
sogno chiuso leggero di una morte.
Lorenzo Calogero /
De "Quaderni di Villa Nuccia"
III
Elegía pocas cosas
y esta vida desde la sequía del puente
era tan proclive; pero no quería
alejarme de los lugares amados.
Elegía entre dos rosas rojas
y tú, prímula, tal vez sabrás decirme
cómo suavemente acaecieron
las contiendas, antes de que se presentase
en lugar de un lugar amado
la cara previsora
cortés de Dios...
XXVII
... Quizá sólo te sé decir esto
loco sobre tu corazón como sobre el de un león
o esta es la imagen que te captura al vuelo
o es una extensa vana gradería;
Pero luego un luto golpea este ciprés
un momento solo
y de mano en mano, en mi mano
sosteniendo la leche en la mano
este cuaderno tuyo.
Quizá en el corazón de la noche golpea al vuelo
un grito de golondrina demorada;
pero no es más que un lujo
y toda esta fragua exterior
de lágrimas debía quizá decir fin
a un adiós, con el mismo terror
con que me miras o te miro
al final de la jornada.
El final de un día no es más que un lujo simple.
Una orquídea ahora resplandece en la mano.
Versiones de Jorge Aulicino
III
Sceglievo poche cose
e questa vita dall’arsura del ponte
era cosí proclive; ma non volevo
allontanarmi dai luoghi amati.
Sceglievo fra due rose rosse
e tu, primula, forse mi sai dire
come soavemente avvennero
le contese, prima che si presentasse
in luogo di un luogo amato
la faccia lungimirante
cortese di Dio …
XXVII
… Forse ti so dire questo solo
folle sul tuo cuore come sopra il cuore d’un leone
o questa è un’immagine che ti rapisce a volo
o è un’estesa vana gradinata;
Ma poi batte un lutto questo cipresso
un momento solo
e, di mano in mano, in mano mia,
tenendo in mano il latte
questo tuo quaderno.
Forse nel cuore della notte batte a volo
un grido di rondine attardata;
ma non è che un lusso
e tutta questa esteriore fucina
di lagrime doveva forse dire fine
a un addio, con lo stesso terrore
con cui mi guardi od io ti guardo
a fine di giornata.
La fine di un giorno non è che un lusso semplice.
Un’orchidea ora splende nella mano.
da QUADERNI DI VILLA NUCCIA (1959-60)
XVI
… Ma passeggiando di nottetempo
odo questo cinguettio
e un’allodola è come una fronda,
una luce calata dal desiderio del cielo.
Ma, vedi, sono costretto anch’io
e ai piedi, umile, è una tomba
e quando spira vento autunnale
sono vento anch’io.
OP I 242
XXVI
Tu non fai che amarmi.
Potevi socchiudere, socchiudermi gli occhi.
Ma in sí rossa del color di un quadro
era una sera.
Molte volte ho visto
non veduta, cambiata in due la tua sera.
Non domandare del lento discendere
tuo a settembre. Questa stella avvizziva
in fondo al pozzo, e la tua lugubre
contesa era distesa.
Ma non dirmi piú che hai
e se marzo è cosí bigio in fondo al pozzo.
Pure erano rose
e rose e cose e colori da morire
quando era lento marzo
e dietro un cipresso era un nastro
mutilato alla campagna.
Cosí presso a una nube
era cosí prossimo il suo vero
e il suo lento discendere
era un numero a settembre.
Ora potevi scegliere salire
e con gioiosa giovane fronte
alla fronte tua morire. Ora riposa,
riposa al largo. Hai stanche le iridi ….
Porta l’impronta odorosa del sole
l’aurora alla campagna ….
OP I 253
XXIX
Numeri, screzi, margini,
questi muri.
Ma ora odi;
rattieni la superficie ferma
di questa fine.
Sulle acque
rese immortali mani fievoli hai
e bagnò i tuoi capelli biondastri
la tua città natale.
Ultimo giuoco di una felicità biondastra
e lo screzio di questa fine,
com’era quiete, a volte,
si ebbe sulla superficie di questi scandagli.
Ed io sapevo rattenerti e mentovarti.
Molte volte la tua pelle arse
di una febbre molto violenta
e in due punti riapportasti
la vana superficie che fu tua
e a molti riapparvero i fiati dei vetri
che vennero ad appuntarsi
dopo lo scorrere lento di una tua malattia.
E in due punti il sopore si ruppe
del respiro del vespero.
Ma questo fu screzio senza fine
sulle labbra della città fantastica:
e questo per la piccola apparenza
che esso dava.
Ma questo era di moto in moto
anche il moto di ogni malattia.
OP I 257
LVI
; e i mattini arsi dal gelo.
Ora è pallida terribile una distanza
e lo sussurrarono
lo bisbigliarono a volte
i morti in una luce continua che li abbaglia,
essi cosí sotterranei, pallidi a volte
in una stanza.
OP I 289
CXI
ma ti vorrò ghermire
e poi dire nel sonno: quel bianco
stanco sereno viaggio: ma già la cinta
era a metà cinta dalla rupe del sonno
quel sereno dilagare di là.
Forse sono in sonno e in sonno sonoro:
una città che naviga a stormo
e di là non vede nessuno.
OP I 344
CXIX
e un mattino – e si perde
nel gelido raggio – Sopra vi spira l’orizzonte.
È un mese quadrato, un murmure,
un insetto e dopo si fa fioco il viso
il raggio di mezzanotte ….
O è un cardellino del mese di gennaio;
dove scopro il soffio del sole d’agosto
o il tuo sorriso sopra i tetti cosí agile
diafano dopo ….
OP I 354
CXXV
… E quel che mi rimane
è un poco di turbine lento di ossa
in questo orribile viavai
dove è alzato anche
un palco alla morte.
Ma io mi sento sempre spento.
Un poco di nebbia mi assale.
Ed io ho amato un fiore di biancospino
nelle tue giunture, nelle tue ossa,
nelle aperte contrade. Guarda
non piú di ieri; e la sagoma amata
dorme accanto ai futuri cipressi
colla giovinezza della tua gloria.
Ma dimmi; e perché mi ami?
la tua giovinezza passata
e futura era una foglia
e perché da un lembo stai.
Ma tanto, quel che ho amato
era la tua giovinezza scorsa
e remota come un canto
nel canto imminente della sera.
OP I 360
CXXXIX
ma acini, questi fili di olio
e questi prati emersi: vedi non sono in fondo
piú che un flutto e questo precoce
andirivieni; ma già lo stento
vivere è ciò che porta
in due alla luce ….
Questi colori a stormo
colorano dunque le tue parole
come il dolce breve fiato dei morti
che nel fondo delle acque traspare;
e fu un denso andare in giú in due.
OP I 374
CLIV
questo disco che ora irrora tacito di luna
e tu calmavi col sangue qualunque ebrezza,
era di un’ala
la cui lievità vedi cadere nel sogno ….
a partire da qui ora si danza,
ora si sogna.
OP I 389
CLIX
ho rubato un filo di capelvenere
e il suo gambo è dolcissimo,
ho sentito quel che mi trattiene.
OP I 394
CLXVII
e sembra un sogno, ma non ho nessuno.
O anima, o madre dei poeti
e al tuo benigno regno, io poveruomo,
forse nessuno. E languisco nelle tenebre
che mi ha lasciato il tuo smaltato
smalto; io due volte, pronto,
sul punto di uccidermi e anche questo
mi assale in dubbio. I detriti potranno fare
povere cose miracolose e questo mi sale
al labbro, ove io avevo un punto povero
un punto povero di poeta ….
OP I 402
CLXVIII
… come era desto il mattino e in fiore
sulle tue labbra ….
OP I 403
CLXIX
… Ora ti amo per poco
quando in quest’orribile
viavai incominciasti a scorgere
nuda la sera. Forse ora era vero,
ora ti manca a castigo il talento.
Ma, vedi, non fa piú male,
non fa piú paura, anche la leggera
ebbrezza del sonno, quando incominciasti a scorgere ….
OP I 404
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