sábado, 20 de febrero de 2016

ANTONINO CAPONNETTO [18.136] Poeta de Italia


Antonino Caponnetto 

Nació en 1950, en Catania (Italia), donde vivió, a excepción de una breve pausa en Roma, hasta el año 1980. Desde 1981 vive en Mantua. 

OBRA: 

-Para la editorial Campanotto, Udine, ha publicado dos libros de poemas: Forme del mutamento (1998) y La colpa del re (2002). 

-Para la editorial Kolibris, Bologna, ha publicado el libro de poemas Miti per l’uomo solo (2009). 

-Su último libro es Agonie della luce, Associazione Culturale Pellicano, Roma, 2015, en la serie Inediti rari e diversi, editada por Beppe Costa e Igor Costanzo. 

Sus poemas han sido transmitidos por radio y otros han aparecido en revistas. En las ediciones Trito&Ritrito, Pieve San Paolo (Lucca), también aparecieron (en un número limitado de copias para los amigos), cuatro plaquettes: A che serve? (2001), Le chiare strade (2002), Contromovenze (2003) y Petitis cahiers pour la douleur du pauvre (2005). 

Sus poemas o entrevistas, también se pueden leer en Internet a través de diversos enlaces. Varias son sus aportaciones críticas, a menudo en forma de prefacios o notas finales, para las obras de poetas jóvenes y consagrados.



La canción del niñito y de su sueño

*

Preguntando el niño estaba 
a la Virgen de la mar.
Ya decían su boca el llanto
y sus nervios el temblar.
Antes que le asiera un sueño,
él quería ya despertar. 


**

Iba, oscuro, el sueño al agua,
iba al niño a preguntar:
“¡Niño, ven junto a mis flores!
¿Por qué quieres despertar?
Ya las rosas de mi lecho
- ¡mira! - sobre el agua están.
Las espinas de mi pecho
como barcos - ¡mira! - van.”  

de La colpa del re 



Tris tras 

Soñé a Paul Rée clavado en una cruz
negra y torcida en el viejo olivar
y mi madre conmigo
hablaba en voz muy baja.

Al pie negro de la cruz
la maleza había crecido
y con voz baritonal
estaba Nietzsche cantando.

¡Tan, tan, tan! ¡tolón, tolón! 
Tres gallinas y un capón. 
El capón estaba muerto, 
las gallinas en el huerto. 
Tris tras, fuera estás. 

¡Eso es todo y nada más!  

[Inédito] 



El dorado otra vez  

Esta 
humanidad nuestra
en desorden 
esta enorme masa 
de personas jodidas
que no lo saben  
pero se pierden 
en las mañanas 
de primavera 
y en las noches de invierno duro 
duermen sobre la acera helada 
y mueren en la indiferencia 
de los transeúntes vistiendo 
pieles preciosas 
en las que esconden 
perlas y relojes de oro 
mientras sus corazones 
negros agujeros
totalmente se los tragan  

[Inédito] 




Nuestro futuro, día a día, quiere  

                                            A Naim Araydi, que está aquí y ahora

Nuestro futuro, día a día, quiere 
ser el aquí y ahora de las flores 
silvestres, quiere ser 
el aquí y ahora 
de las ardillas rápidas 
en los robles frondosos. 

Nuestro futuro, día a día, quiere 
ser el aquí y ahora de cualquiera, 
hombre, mujer, niñito, 
cuya luz, cuya muerte, 
habla más que mil lenguas
que llevan a la vida. 

[Inédito]       8 de octubre 2015



Antonino Caponnetto y Beppe Costa






da Forme del mutamento 



L’azalea

E dopo tanto vivere, quest’uomo
morrà col suo segreto.
                      La sua morte?
Nient’altro che un sigillo.
Eppure che sorpresa
girovagare lungo i marciapiedi,
lasciando orme sulla neve fresca,
rannicchiarsi, scrollarsi e poi sputare.
O fumare o destarsi la mattina
e, guardando la donna, non capire.

Ho fiducia nel gesto che rinnega,
nel braccio che impedisce, nella mano
che si posa tranquilla sul bracciolo.

Anche scrivendo, non affermo nulla,
e l’arte mi seduce, ma per poco.
Posso dimenticare l’azalea?

Nel suo piccolo vaso, ora, in gennaio,
raggelerà se non le do una mano. 

da Forme del mutamento 



In principio

Intorno al fuoco uomini
parlano ad altri uomini
di uomini morenti oppure morti,
e d’un maleficio antico 
che offuscò dei poveri intelletti,
del fatto che c’è un demone
per ogni impazzimento 
e angeli ci sono, fatti di carne e sangue. 
Dove c’è fuoco, uomini
parlano ad altri uomini 
di uomini morenti oppure morti,
e d’un sogno indomabile 
che, poi, sarà la vita. 

da Forme del mutamento 



Dopo Legendre, Paul Dirac, Peano 

L’alba sfumava ancora nel mattino,
il mattino nel giorno, e così via,
e c’eran cose che sapevi bene
e cammini più brevi e meno brevi.

L’infinità sensibile pulsava
nei tuoi gesti, nei sogni, nelle vene.
E i libri aperti, come una frontiera

oltre le veglie e le notturne cene
e le canzoni per le strade e i cori
e nessuna stanchezza, di che lieve
felicità vestivano le scene

finali del tuo giorno. Venticinque
erano gli anni tuoi, ma tremolava
la tua fiammella, e tu ci salutavi

a tuo modo, in silenzio. Chiedevamo
che tu tornassi a noi. Tornasti solo,
col volo delle due, dentro una bara.

Era novembre. C’era, e volteggiava,
coi parenti lontani ed i compari,
sopra di noi lo stormo dei falconi.

Era novembre. l’eucalipto solo
frangeva il vento di grecale, solo
il dattero selvatico restava
nel cuore della palma. Non sapevo
e nessuno sapeva, o tacevamo,
di quali spazi e quanti richiudesse
l’immensa tua spirale d’Archimede
che fa d’omega l’alfa e poi lo zero,

di che mistero e fuoco la tua fiamma
il frutto rivelato costituisse
che si ravvolge poi fino a morire.

Eri l’amico allora, sei fratello.
Eri l’oscuro fondo, sei la lingua
repentina del fuoco e del ritorno. 

da Forme del mutamento 





da La colpa del re 


La colpa del re  

                   Alberatissimi viali 
                  a linimento dei mali.


“La smania di colpire l’occhio, il tatto, 
il palato, l’olfatto, si può dire 
vraiment française.” 

E tu, per la tua parte 
italiana del sangue, sorridevi 
in italiano al mio sputar sentenze. 

Il taxista dubbioso mi credeva 
un hombre muy importante y valenciano. 
Ero lieto per noi, per lui: ridevo. 

Tutta verde en domingo, claudicavi 
d’un tratto sopra il verde tacchettino 
del tuo maldestro sandalo. 

   Non c’era 
cosa, per te, che fosse cauta e mite 
quanto l’ombrosa chiarità dei viali 

o l’insistita celia di bambini 
avvezzi a lievi climi, a siti ombrosi, 
a cauti viaggi, ad indolenti abusi. 

Nostro figlio imparava le parole 
come centellinando un’aranciata. 
“La faute du roi — De quoi? — Mais de Babel.” 

Noi, questa volta in tre, con Barcelona 
a causa di Picasso e di Dufy. 
Y, por la tarde, a Tossa, questo sì. 

E più lontano. Dove, malgré nous,
rivolgeranno il capo ad occidente 
i girasoli di Van Gogh domani. 

da La colpa del re 



Dolceamara città 

Dolceamara città sempre non mia,
del mio sonno compagna. Tu, la sola

temibile città, dove passava
uno con la mia faccia, i miei vestiti,
i miei fogli di carta, le mie cene,
le mie care signore impellicciate.

Città lillipuziana, dove urlava 
in un tempo lontano tutto il cuore. 

da La colpa del re 



da Miti per  l’uomo  solo  



Eri la nostra voce, che risuona  

E parlavi dei Minima di Adorno,
e dei mostri parlavi e di puntute
spine che lì nella coscienza stanno
come in attesa di portar dolore.

Eri la nostra voce, che risuona
dalle viscere al cuore. E noi, qui, ora,
per te, fratello antico, solitario
viandante eterno in luoghi mai veduti,

noi, per quelli fra noi che più non sono,
poniamo il Primum vivere
a fondamento estremo.

Contro le sfingi, amabili
guardiane del potere,
d’ogni filosofare in cui l’Enigma
sempre viene infamato e vilipeso.

Contro i mostri che l’alba
non dissolse
e le astute ragioni
del vampiro.  

da Miti per l’uomo solo  



Icone 

*
…Nel mio sogno la tavola dei cieli
era un immenso verde e Dio regnava
oltre quel verde sopra l’infinito.
Sui misteri del numero e del segno
e su tutta la terra si levava,
ormai solo abitante, Ermafrodito…


*

…Nel mio sogno la luna illuminava
gli ulivi di Getsemani. E qualcuno
là, fra gli ulivi, c’era stato o c’era.
Rosseggiava un mantello sopra i rami
e giumente passavano in un lieve
risuonare di zoccoli argentati…


*

…Nel mio sogno Gesù tornava al Tempio
col suo passo veloce. La sua ira
lo precedeva. Lo seguiva il rombo
di lontani messaggi, di tamburi.
E la muta fiumana dei cenciosi 
nel suo fruscio pulsava come un cuore… 

da Miti per  l’uomo  solo  





da Agonie della luce, Pellicano, 2015


Specchi sopra il deserto 

Nel sogno il vecchio Allal dette il segnale.  
E prese ad avanzare
verso l’ultima oasi l’immensa carovana. 

Si rifletteva il sole negli infiniti specchi 
che il ghibli ad ogni passo discopriva 
a destra come a manca. 

Ora è calato il vento e sono morti. 

Le loro ossa e quelle dei cammelli
le masserizie gli otri ed ogni merce, 
queste le sole cose che di loro 

restano lì a giacere per disfarsi. 

E due file di specchi senza principio e fine 
per l’eterno moltiplicano 
a dismisura il cieco occhio del sole.  

da Agonie della luce  



Fonda è la notte 

Fonda è la notte adesso – e sui lontani 
dossi dell’orizzonte a settentrione
balenano le folgori come ondeggianti lame,
stroboscopiche luci su ignoti paesaggi.

Aleggia e indugia per questi balconi
la meraviglia – e chiama i più tardivi.

Qui su di noi è un luccichio di stelle –
alcune forse estinte eppure vive –
Le guardo tu sussurri i loro nomi.
Le guardo, sì, ma come da un diverso
luogo-tempo vissuto da bambino.

Quando girovagavo nei cortili
d’una città materna ormai lontana,
e né silenzio o buio m’impauriva
nelle serene argentee notti estive –

che talvolta ritornano in un sogno
luminescente e oscuro in cui le stelle
brillano con la luna o la sua falce.
E piante ed erbe sono forme nere –   

da Agonie della luce  



Persona et umbra  

Un giorno dopo l’altro, 
per tenerti la vita, 
indossi le tue maschere morali. 
Sei registrato, conformato, attento.
Ormai con precisione coperto, allineato. 

La tua casa è il non-luogo. Il tuo durare 
è un illusorio tempo. La tua ombra
selvaggia è come un pane tormentoso 
che ad ogni morso sempre di più cresce. 

In qualsiasi momento la tua porta 
è aperta a tutti, prego! Entrate, entrate!
Ma sei vecchio, ti dicono, sei stanco.
E preparano allora per te un fuoco.

E d’improvviso vieni 
giustiziato sul posto 
da gente sbeffeggiante e sconosciuta.
Il cuore nel più fondo degli inferni
brucia del tutto, ad ogni eterno istante.   

da Agonie della luce 



Οι δαιμονισμένοι 
[Gli indemoniati]  

Vecchie lanterne ondeggiano alla brezza
come pendoli ben ristrutturati.

E il cantore, confuso tra i teppisti, 
sussurra le sue storie, mentre i figli
dai fragili intelletti cristallini, 
giovani cavernicoli selvaggi irosi oscuri,
già bruciano agli albori della vita.

Angeli posseduti che non sanno 
del demone né il volto né la voce. 
Non ne sanno gli sguardi, e tuttavia 
allo specchio si sbarbano nel sole dei mattini. 

In loro vive l’animale in fuga. 
In loro spadroneggia, e uccide, la paura.   

da Agonie della luce 








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