Antonio Bux
Foggia (Italia, 1982)
(pseudonimo di Fernando Antonio Buccelli) nasce a Foggia il 16 ottobre del 1982. Dopo aver terminato gli studi, coltiva esperienze lavorative in varie città italiane ed estere, ma soprattutto a Firenze e Barcellona, dove risiede dal 2007. Sue poesie sono apparse in numerose antologie (tra le quali piace citare “A sud del sud dei santi – Sinopsie Immagini e Forme della Puglia Poetica. Cento Anni di Storia Letteraria”, a cura di Michelangelo Zizzi, LietoColle Editore, Faloppio, 2013), e in diverse riviste di poesia sia nazionali che internazionali, dato che molti suoi componimenti sono stati tradotti in spagnolo, francese, inglese, tedesco e serbo. Hanno parlato e commentato positivamente sulla sua poesia alcuni tra i più importanti autori e riconosciuti critici del settore. Si occupa costantemente di traduzione dallo spagnolo di scrittori e poeti sia iberici che latinoamericani. Ha curato la traduzione del libro “Ventanas a ninguna parte” dell’autore spagnolo Javier Vicedo Alós, oltre che la traduzione di poesie scelte di autori tra i quali Leopoldo María Panero, Dário Jaramillo, Álvaro García, Antonio Cabrera, Jaime Saenz, Pedro Salinas e tanti altri ancora. È autore dei libri “Disgrafie (Poesie 2000-2007 e altre poesie)” (Edizioni Oédipus, Salerno-Milano, 2013; libro risultato vincitore della XXXVII Edizione del Premio Minturnae Poesia Giovani “Ornella Valerio”) e “Trilogia dello zero” (Marco Saya Edizioni, Milano, 2012; libro risultato finalista per l’opera edita alla XXVII Edizione del Premio Lorenzo Montano). Attualmente sta lavorando ad una raccolta di racconti e alle traduzioni di un’antologia di nuove voci della poesia spagnola contemporanea.
Yo, soy el agua
dejada allí
en el vaso de ayer,
la derretida miel
sobre el cuerpo
morado de los años,
soy el frío que llega
a los ojos, en el calor
de la mirada;
yo, el vientre sin hondo,
ruido sobre la piel
silenciosa de la historia,
la cicatriz hundida
en la sangre
de la memoria,
el recuerdo
de separados cuartos,
la casa sin puertas, yo
el calido mármol
hecho de la nada,
fuego azul quemado por el aire,
soy la vela
de un muerto
que no quiere adiós,
una cinta de cielo
partida al horizonte,
soy dos soles en un atardecer,
la fuente necesaria
por la lengua seca
en el muro del recuerdo
el negro nombre borrado
del papel del silencio
al infinito en el blanco.
Io, sono l’acqua
lasciata lì
nel bicchiere di ieri,
lo squagliato miele
sopra il corpo
viola degli anni,
sono il freddo che arriva
agli occhi, nel calore
dello sguardo;
io, il ventre senza fondo,
rumore sulla pelle
silenziosa della storia,
la cicatrice affondata
nel sangue
della memoria,
il ricordo
di separate stanze,
la casa senza porte, io
il marmo caldo
fatto di niente,
fuoco azzurro bruciato dall’aria,
sono la veglia
di un morto
che non vuole addio,
un nastro di cielo
tagliato all’orizzonte,
due soli in un tramonto,
la fonte necessaria
per la lingua secca
nel muro del ricordo
il nome nero cancellato
dal foglio del silenzio
all’infinito nel bianco.
Si no dentro de ti
buscar otra imagen
por alguna forma
mas allá del vidrio
en el espejo del vacio
y fundir el alma
con el vertigo de ser
dividido por un confin
-una huella de la nada-
así que todo sea todo
y los rostros algo menos.
Se non dentro di te
cercare altra immagine
per qualche forma
più in là del vetro
nello specchio del vuoto
e fondere l’anima
con la vertigine d’essere
diviso per un confine
-una traccia di niente-
affinché tutto sia tutto
e i volti qualcosa meno.
Las ilusiones son cajas de vidrio
herméticas-privadas de salida-
donde se marchitan, sin recibir
más agua de la esperanza
las flores del tiempo.
Le illusioni sono scatole di vetro
ermetiche -prive d’uscita-
dove marciscono, senza ricevere
più acqua dalla speranza
i fiori del tempo.
Es un sol amargo en la quietud lejana
que dibuja el vacío del perfil
-no hay paz en vida – no hay
retorno de la penumbra a la vuelta
de la luz encerrada atrás
escondida a la misma memoria;
también el negro es desteñido fuera
por la geometría de las tinieblas
dónde el adiós de cadas motines
es un silencioso ir en el olvido
como el folio la cárcel invisible
de un exilio sin condena.
È un amaro sole alla quiete lontana
che disegna il vuoto del profilo
-non c’è pace in vita- non c’è
ritorno dalla penombra alla volta
di luce racchiusa all’indietro
nascosta alla propria memoria;
anche il nero è sbiadito fuori
dalla geometria delle tenebre
dove l’addio di ciascun moto
è silenzio nell’andare nell’oblio
come il foglio carcere invisibile
di un esilio senza condanna.
PRESENCIA
Fuera de mí, no mi casa,
mínimamente quizá
allende los muros escruto, mas allá
del techo bajo, trazas de ti
escondida tras la piel blanca
de lo externo, o quizá sólo recubierta
de cal para presevarte, quién sabe
si estas estancias tienen las mismas formas
de quien te ha vivido; entonces quizá
las escondo, colgando
fotos y cuadros inmóblies,
ojos que ocultan otros ojos.
PRESENZA
All’infuori di me, non la mia
casa, minimamente forse
oltre le mura scorgo, al di là
del soffitto basso, tracce di te
nascosta tra la cute bianca
dell’esterno, o forse solo ricoperta
dalla calce per preservarti, chissà
se queste stanze hanno le stesse forme
di chi ti ha vissuto; forse allora
le nascondo, appendendo
foto e quadri immobili,
occhi che celano altri occhi.
EL MANIFESTO CASERO DE LA NOCHE
El vidrio susurra lamentos incrustados en los resquicios.
El frigorífico controla y recluta hortalizas.
Todo está desesperadamente vivo.
Las paredes están saturadas de historias agrietadas.
Los suelos sobrecargados de crónicas cotidianas.
La televisión murmura patrañas en sordina.
Las puertas subdividen las esperas.
Los cuadros suspenden los recuerdos.
Los espejos insinúan verdades celadas.
Todo habla y se funde en la noche.
Los ceniceros están colmados de olvido.
Las fotografías se interrogan en las siluetas del presente.
Los sofás mortifican los sueños.
Los vasos chocan en la oscuridad.
Los cubiertos y los estantes duermen embaucados.
Los balcones roncan en el viento.
Todo se extralimita más allá de cualquier norma.
Las lámparas se demoran con luces opacas.
Las sombras deliran holgazaneando.
Los trasteros son maníacos,
devoradores de zapatos insólitos.
La ducha enjaula el sudor.
Las camas hospedan lágrimas de segundos.
Las ropas enmascaran la personalidad.
Los paraguas se abandonan a la nada,
encaramados como esmirriados buitres.
Los libros se nutren glotones de saber.
En las mesillas de noche pululan fantasías impulsivas.
En la cocina reina un histórica inanición.
El baño encierra viejas canciones.
Todo me habla en las noches podridas de silencio.
Los licores me envuelven con sus historias.
Los techos me comunican el lenguaje de las horas.
Las cortinas miden mis deudas con el día.
Las pantuflas imploran ayuda.
Las mesas se sientan al banquete del vacío.
Los pasillos mutan en laberintos.
Las almohadas sofocan el aire blando y desvaído.
La casa que me hospeda pide gratitud y silencio.
Todo en la noche se manifiesta y canta.
Todo en la noche va a la caza de historias para devorar.
IL MANIFESTO CASALINGO DELLA NOTTE
Il vetro sibila lamenti intarsiati nelle fessure.
Il frigorifero controlla e recluta ortaggi.
Tutto è disperatamente vivo.
I muri sono saturi di storie crepate.
I pavimenti sovraccarichi di cronache quotidiane.
La televisione mormora fandonie in sordina.
Le porte suddividono le attese.
I quadri sospendono i ricordi.
Gli specchi insinuano verità celate.
Tutto parla e si strugge nella notte.
I posacenere sono ricolmi d’oblio.
Le foto si interrogano nelle sagome del presente.
I divani mortificano i sogni.
I bicchieri cozzano nel buio.
Le posate e le mensole dormono irretite.
I balconi ronfano nel vento.
Tutto sconfina al di là di ogni legge.
I lampadari indugiano con luci opache.
Le ombre farneticano cincischiando.
I ripostigli sono maniaci,
divoratori di calzature inconsuete.
La doccia ingabbia il sudore.
I letti ospitano lacrime di secondi.
Gli abiti mascherano le personalità.
Gli ombrelli si crogiolano nel nulla,
appollaiati come sparuti avvoltoi
I libri si nutrono ingordi di sapee.
Nei comodini pullulano fantasie inconsulte.
Nella cucina regna una storica inedia.
Il bagno racchiude vecchie canzoni.
Tutto mi parla nelle notti marce di silenzio.
I liquori mi avvolgono con le loro storie.
I soffitti mi comunicano il linguaggio delle ore.
Le tende misurano i miei debiti con il giorno.
Le pantofole implorano aiuto.
I tavoli banchettano con il vuoto.
I corridoi mutano in labirinti.
I cuscini soffocano l’aria molle e sbiadita.
La casa che mi ospita chiede gratitudine e silenzio.
Tutto nella notte si manifesta, e canta.
Tutto nella notte va a caccia di storie da sbranare.
UN LOCO EMPARCHADO
Tenía una caja de madera
con tantas pequeñas cosas dentro;
un clavo, una goma de borrar, un hilo
y un colgante, una pequeña foto
amarillenta y la mitad de un fósforo.
Y así empecé.
Con la goma borré mi nombre
y el hilo tiró de mis párpados
y saqué de mi corazón el clavo
oxidado del tiempo, y encendí
la mitad del fósforo y quemé
tu pequeña foto vieja, cerrando luego
las cenizas en el colgante, lanzando
todo lejos, fuera de mí.
Así he terminado.
Reinventándome.
UN PAZZO DI PEZZA
Avevo una scatola di legno
con dentro tante piccole cose;
un chiodo, una gomma, un filo
e poi un ciondolo, una piccola foto
ingiallita e un mezzo fiammifero.
E così, cominciai.
Con la gomma cancellai il mio nome
e il filo tirò su le mie palpebre
e sconficcai dal cuore il chiodo
arrugginito del tempo, e accesi
il mezzo fiammifero e bruciai
la tua vecchia piccola foto, chiudendo poi
le ceneri nel ciondolo, gettando
tutto via, all’infuori di me.
Cosi ho finito.
Reinventandomi.
La memoria solo tiene un ojo
y no veo que un precipicio
de miradas más allá del esqueleto
en la impureza de los cuerpos no electos
en el desencanto sin propósito y mediación
y me hablo de la pureza que me quiere
monstruo de pasión encerrado en el nombre
de una sepultura querida del universo.
La memoria ha un solo occhio
ed io non vedo che un precipizio
di sguardi al di là dello scheletro
dell’impurità dei corpi non eletti
a disincanto senza scopo e mediazione
e mi parlo di purezza che mi vuole
mostro di passione rinchiuso al nome
di una sepoltura voluta dall’universo.
Fotogramas sobre todos
los rincones de la casa.
Las paredes coloreadas de época,
historias cocidas a la carpa.
Nombres reescritos de memoria
en el papel de los detenidos en el tiempo.
Una casa no es cuatro paredes
pero sólo reciclo, la calidez humana.
Una casa es clausura
de vida, sepultura
del antiguo arcano, fósil
del limitar urbano.
Fotogrammi su tutti
gli angoli della casa.
Muri colorati d’epoche,
storie cucite alle tende.
Nomi riscritti a memoria
sulla carta da parati del tempo.
Una casa non è quattro mura
ma solo riciclo, tepore umano.
Una casa è clausura
di vita, sepoltura
dell’antico arcano, fossile
del milite urbano.
Y se vuelve el hombre como un adiós
expulsado del territorio en un vientre
de pensamiento que no invade
donde un límite lo evidencia
falso testimonio de otro nombre
canto animal que no lo perfora
cuando ya no de carne la lengua quema
en el silencio de una tierra estéril abisma
como gusano en busca de la luz salvadora
transparente al aire de las cosas vanas,
como bandadas de pájaros cerrados al cielo
emigrantes de este dar sin tener nada.
E ritorna l’uomo come un addio
esiliato dal territorio in un ventre
di pensiero che non sconfina
laddove un limite lo evidenzia
falsa testimonianza d’altro nome
canto animale che non lo attraversa
quando non più di carne -la lingua brucia-
e nel silenzio di una terra sterile sprofonda
come verme in cerca di salvifica luce
trasparente all’aria delle cose invano,
come stormi di uccelli chiusi al cielo
emigranti di questo dare avere niente.
Recuerdo apenas lo que era
la tierra retornando a casa,
de noche, a pies desnudos repitiendo
el vacío de tu futura presencia,
cuando las huellas me precedían
y trazában caminos interminables
estando en la pisada de mi ausencia.
Me decía-, ya se acabó-pero luego
llegaba otro sol a despertarme.
Y con el sol volvían las sombras
de las cosas sólo quedaba el vacío
los objetos manipulados por tus gestos
-Nunca se encontraban en su lugar-
los recuerdos, entre el polvo y nuestros nombres.
Ricordo appena cosa fosse
la terra ritornando a casa
di notte, a piedi nudi ripetendo
il vuoto della tua futura presenza,
quando le orme mi precedevano
e tracciavano sentieri interminabili
stando al passo della mia assenza.
Mi dicevo -è quasi finita- ma poi
arrivava un altro sole a svegliarmi.
E col sole ritornavano le ombre
delle cose rimaneva solo il vuoto
gli oggetti manomessi dai tuoi gesti
-non si trovavano mai al loro posto-
i ricordi, fra la polvere e i nostri nomi.
No serás jamás lo mismo
de aquel instante que fue
antes que ahora;
no es nunca un mismo reflejo
que deslumbra en igual medida;
no existe un mismo infinito
que dure más de una vida.
Non sarai mai più lo stesso
di quell’attimo che fu
prima di adesso;
non v’è mai uno stesso riflesso
che abbagli in ugual misura;
non esiste un medesimo infinito
che più di un istante dura.
Poesie di Antonio Bux tratte dalle sillogi “Disgrafie”,
“La simmetria dei nomi” e “Le ore nuove” (Poesie del giorno dopo).
Traduzioni a cura di Antonio Bux e Ana Caliyuri
ANTONIO BUX – 10 POEMAS EN CASTELLANO
EXTRACTOS DE “EL HOMBRE COMIDO”
BRAZOS DE DIOS
Tengo ganas de comer piedras,
y de levantar una tumba
de palabras enojadas. Porque
estoy enojado con los brazos
de Dios, no saben proteger
la sombra suspendida,
el vacío manantial;
yo no tengo agua para siempre,
mi boca no se parece a Dios,
madre mía, ya estoy cerca
de su campo.
QUIERO LLEGAR A SER POBRE
Quiero llegar a ser pobre
y a no tener palabras
que decir. Para poder
saludar mi ventana
cerrada desde un puñado
de manzanas frías. Calor
sin remedio, hueco del alma,
tú no escuchas los viejos
oídos. Solo hueles a patio
oscuro y perdido.
MEMORIA GIGANTE
Tengo una memoria
subterránea, de gigante.
Veo alfombras de mariposas
bajar y un vuelo de lluvias
y una mujer caballo
acurrucada en mis hombros.
Veo muchas cosas pero
no dejo de ver frente
a mi sombra la sombra
sospecha. Vida muñeca,
vida infantil, hermana quebrada,
mi vida es un juego
de crisis tranquilas. Un tren
que no alcanzo, que ha llegado
por fin a ninguna estación.
MUJER MENTAL
Mujer universal, me falta
el inglés para besarte.
Y un ojo de Gibraltar
o una mirada euskera.
La conquista me aprisiona
de palabras que no llegan
a tocar los labios
o el frío sepultado. Mujer idioma
dame un beso borrado
o un diente de risas
para que perdone las rosas
violadas del mundo.
CARIÑO ROBÓTICO
Por qué la mañana me parece
una mano de ceniza
que el sol no extingue. Lleva
una llama agotada, nos queda
el apagón térmico, la última
condena del rostro. Es besar
el cadáver del llanto, una combustión
cerebral, elimina el espíritu
quebrando la cadena; queda
el animal dado vuelta, la piedra humana,
queda lo quemado, la piel del alma
que no sabe bautizar promesas,
las promesas de un cielo robot.
VENGANZA MAÑANERA
¡Ay, por Dios, vive un cerebro
de sol en mi alma cojonuda!
Qué guay me siento sin
el cuerpo helado que piensa.
Hay varios escalofríos en
la cabeza entrenada para el bostezo.
Hay que bostezar frente al sueño
de las ultimas horas. Nos quieren
tapar los ojos con pijas promesas
de nada, pero, ¿qué opinaís
si la mayor venda es la vida misma?
¡Ay, qué mal me siento sin mi atroz
venganza mañanera! Perdí la feliz
costumbre del desayuno con piedras
palabras. Ahora sigo la dieta del miedo.
Buen provecho, sórdidos señores, mi mesa
es la tierra que ustedes me quitan.
ÉCHAME UNA MANO
Tendríamos que inventar un viejo
beso de plumas. Para ensuciar
de blanco el río de la sabiduría.
Pero de sabiduría no se nutre la isla
lejana que aún dibujamos en
papeles morados y cartas tinieblas.
Ahí está Eldorado, o ninguna colonia,
ni general ni patria, ni esclavos
de arena alzando brazos cálidos
desde un rincón de hombres exiliados.
¿Te parece bien si apagamos el agua
sobrante de los labios y echamos comida
a las aves muertas de la historia? Dime
qué opinas, ¿quieres invertir tu suerte en los
nervios del cuerpo sagrado, adivinando el
vacío de cada confín que no nos pertenece?
Estoy solo, con muchos a mi lado; estoy
sin milagros, y solo el Diablo cumple conmigo.
EVOLUCIÓN DEL PÁJARO
Pajarito nazi, envíame un mensaje
de autodestrucción o dame
un beso que sea el aire.
Yo no quiero tus alas,
quiero el golpe de la mina
vagante.
Me faltan unos labios, para decir
no estoy solo, no soy raro,
y sin embargo veo montañas
todavía y ríos estrechos
como venas cortadas, los veo
desaparecer bajo la tierra,
y sin embargo puedo mirar
cómo el cielo sigue su trayecto
hacia el confín y el universo
ay sí, puedo mirarlo de verdad,
si cierro los ojos se abren
otras fuentes, las llaves
claras de unas puertas
olvidadas; y allí hay plumas
de pájaros felices, planean
sobre los hombros de un ser
adormecido… Pero me faltan
unos labios, para decir
que no puedo ver todo esto
porque el hombre se ha comido
todo el aire a través de sus
bostezos fluorescentes, y ya
no hay pájaros felices
en los hombros de seres
dormidos, ya no hay luz que
despida sombras, ya no hay vuelos
extranjeros ni un futuro irreversible…
Los hombres yacen dormidos
y los pájaros atacan. No es
venganza sino verdad
de supervivencia. Falta el
aire, faltan nidos de
naturaleza… Falta poco
para que crezcan
nuevas piedras como
labios, para decir este
es el mundo, la mentira
que evoluciona.
RELOJES HORMIGAS
Un oso hormiguero
me preguntó qué hora
era, aquel día en
que se murió. Yo no supe
contestarle porque
hasta aquel día tan solo
conocía relojes hormigas.
El tiempo es una larga venganza
que corre contra sí misma
dejándonos parados.
No sé si se trata de elegancia
animal o de lo adverso
de otros mundos, lo que sé
es que este trabajo
tremendo no es la vida.
La inexistencia bien
lo explica. La vida es
el olvido de la vida,
una vez olvidada
la hora justa.
EL HOMBRE COMIDO
El hombre comido tiene hambre
de Dios. La verdad es un hombre
comido. Pero si come su tiempo
el dolor se queda hambriento. Y si
se queda dentro, el hombre
sin hambre es un Dios callado.
Así que el hombre comido tiene
hambre de sed. Y su agua es
la calle, y su piedra el derrumbe,
hasta que no confunda el hambre
con los hombres. Ahí cualquiera
es un Dios, comiendo el silencio.
ANTONIO BUX – 10 POEMAS EN CASTELLANO
EXTRACTOS DE “EL HOMBRE COMIDO”
BRAZOS DE DIOS
Tengo ganas de comer piedras,
y de levantar una tumba
de palabras enojadas. Porque
estoy enojado con los brazos
de Dios, no saben proteger
la sombra suspendida,
el vacío manantial;
yo no tengo agua para siempre,
mi boca no se parece a Dios,
madre mía, ya estoy cerca
de su campo.
QUIERO LLEGAR A SER POBRE
Quiero llegar a ser pobre
y a no tener palabras
que decir. Para poder
saludar mi ventana
cerrada desde un puñado
de manzanas frías. Calor
sin remedio, hueco del alma,
tú no escuchas los viejos
oídos. Solo hueles a patio
oscuro y perdido.
MEMORIA GIGANTE
Tengo una memoria
subterránea, de gigante.
Veo alfombras de mariposas
bajar y un vuelo de lluvias
y una mujer caballo
acurrucada en mis hombros.
Veo muchas cosas pero
no dejo de ver frente
a mi sombra la sombra
sospecha. Vida muñeca,
vida infantil, hermana quebrada,
mi vida es un juego
de crisis tranquilas. Un tren
que no alcanzo, que ha llegado
por fin a ninguna estación.
MUJER MENTAL
Mujer universal, me falta
el inglés para besarte.
Y un ojo de Gibraltar
o una mirada euskera.
La conquista me aprisiona
de palabras que no llegan
a tocar los labios
o el frío sepultado. Mujer idioma
dame un beso borrado
o un diente de risas
para que perdone las rosas
violadas del mundo.
CARIÑO ROBÓTICO
Por qué la mañana me parece
una mano de ceniza
que el sol no extingue. Lleva
una llama agotada, nos queda
el apagón térmico, la última
condena del rostro. Es besar
el cadáver del llanto, una combustión
cerebral, elimina el espíritu
quebrando la cadena; queda
el animal dado vuelta, la piedra humana,
queda lo quemado, la piel del alma
que no sabe bautizar promesas,
las promesas de un cielo robot.
VENGANZA MAÑANERA
¡Ay, por Dios, vive un cerebro
de sol en mi alma cojonuda!
Qué guay me siento sin
el cuerpo helado que piensa.
Hay varios escalofríos en
la cabeza entrenada para el bostezo.
Hay que bostezar frente al sueño
de las ultimas horas. Nos quieren
tapar los ojos con pijas promesas
de nada, pero, ¿qué opinaís
si la mayor venda es la vida misma?
¡Ay, qué mal me siento sin mi atroz
venganza mañanera! Perdí la feliz
costumbre del desayuno con piedras
palabras. Ahora sigo la dieta del miedo.
Buen provecho, sórdidos señores, mi mesa
es la tierra que ustedes me quitan.
ÉCHAME UNA MANO
Tendríamos que inventar un viejo
beso de plumas. Para ensuciar
de blanco el río de la sabiduría.
Pero de sabiduría no se nutre la isla
lejana que aún dibujamos en
papeles morados y cartas tinieblas.
Ahí está Eldorado, o ninguna colonia,
ni general ni patria, ni esclavos
de arena alzando brazos cálidos
desde un rincón de hombres exiliados.
¿Te parece bien si apagamos el agua
sobrante de los labios y echamos comida
a las aves muertas de la historia? Dime
qué opinas, ¿quieres invertir tu suerte en los
nervios del cuerpo sagrado, adivinando el
vacío de cada confín que no nos pertenece?
Estoy solo, con muchos a mi lado; estoy
sin milagros, y solo el Diablo cumple conmigo.
EVOLUCIÓN DEL PÁJARO
Pajarito nazi, envíame un mensaje
de autodestrucción o dame
un beso que sea el aire.
Yo no quiero tus alas,
quiero el golpe de la mina
vagante.
Me faltan unos labios, para decir
no estoy solo, no soy raro,
y sin embargo veo montañas
todavía y ríos estrechos
como venas cortadas, los veo
desaparecer bajo la tierra,
y sin embargo puedo mirar
cómo el cielo sigue su trayecto
hacia el confín y el universo
ay sí, puedo mirarlo de verdad,
si cierro los ojos se abren
otras fuentes, las llaves
claras de unas puertas
olvidadas; y allí hay plumas
de pájaros felices, planean
sobre los hombros de un ser
adormecido… Pero me faltan
unos labios, para decir
que no puedo ver todo esto
porque el hombre se ha comido
todo el aire a través de sus
bostezos fluorescentes, y ya
no hay pájaros felices
en los hombros de seres
dormidos, ya no hay luz que
despida sombras, ya no hay vuelos
extranjeros ni un futuro irreversible…
Los hombres yacen dormidos
y los pájaros atacan. No es
venganza sino verdad
de supervivencia. Falta el
aire, faltan nidos de
naturaleza… Falta poco
para que crezcan
nuevas piedras como
labios, para decir este
es el mundo, la mentira
que evoluciona.
RELOJES HORMIGAS
Un oso hormiguero
me preguntó qué hora
era, aquel día en
que se murió. Yo no supe
contestarle porque
hasta aquel día tan solo
conocía relojes hormigas.
El tiempo es una larga venganza
que corre contra sí misma
dejándonos parados.
No sé si se trata de elegancia
animal o de lo adverso
de otros mundos, lo que sé
es que este trabajo
tremendo no es la vida.
La inexistencia bien
lo explica. La vida es
el olvido de la vida,
una vez olvidada
la hora justa.
EL HOMBRE COMIDO
El hombre comido tiene hambre
de Dios. La verdad es un hombre
comido. Pero si come su tiempo
el dolor se queda hambriento. Y si
se queda dentro, el hombre
sin hambre es un Dios callado.
Así que el hombre comido tiene
hambre de sed. Y su agua es
la calle, y su piedra el derrumbe,
hasta que no confunda el hambre
con los hombres. Ahí cualquiera
es un Dios, comiendo el silencio.
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