sábado, 6 de mayo de 2017

SIMONE MARIA BONIN [20.128]


SIMONE MARIA BONIN

Simone Maria Bonin nació en Venecia, Italia el 10 de noviembre de 1993. Es licenciado en Matemáticas y Economía de la Universidad de Warwick en el Reino Unido. Vivió durante varios meses en Costa Rica en 2009 y Singapur en 2014. 



3 poemas de “Periódicos de los hemisferios” (inédito), de Simone Maria Bonin

Por Simone Maria Bonin

Traducción por Simone M. Bonin y César Ibáñez París


Never talk to strangers

[…] y todo alrededor un no sé qué de muerto.
M. Bulgakov


I

No tengo nada que ver con estos versos vulgares que se oyen por la calle
en esta tierra de pantanos, de hombres que crían puercos
en este terrón muerto que busca en el silencio su estancamiento.


II

Sentémonos.
Hablaremos de las manos, nombres que anuncian el mañana
y nuestros ojos, huecos muertos en este tiempo
Hablaremos de la resurrección de los cuerpos
del amor, de la transmutación del dolor y por último
de la gloria del sol.


III

No se pueden sacar palabras de esta agua inmóvil que domina las cosas.


IV

Por carencia construyen piedra que los consuela
y ánimos de rocas, cemento y alquitrán
para que su casa sucumba de sequedad y sea pura
y suave la tierra – nivelada su propia tumba


IV

Este idioma es una mezcla de inviernos que llevan al sueño
a la disolución del día – la suavidad de sílabas
la desaparición del sonido – y si la oscuridad pertenece al Hombre
Es un Hombre-y-Mundo en el que nunca somos (porque así no somos)
ya que esta noche no tiene espacio para nuestro sintagma de amor humano





Periódicos de los hemisferios

I

Confundo el tiempo de mi diario.
Vigilia y sueño viven distraídos su abandono.
Sigo los meridianos de la mano. El cometa Halley
Pasó a través de tu palma siglos atrás.
Los hemisferios trazan estrellas en los globos oculares
abejas boreales cavan la piel
flores de neutrinos explotan desde la epidermis


II

Amasamos las alas con la cera
y sin más huesos en las junturas
sin más tendones de palabras vamo
donde los núcleos de helio
son residuos de demasiada presión
perderemos piel en la atmósfera
las cenizas del cuerpo se teñirán de rosa
explotada será nuestra casa
sin masa, sin gravedad
tinta que se pierde en el aire


III

La involución a masa del núcleo estelar
lleva a una fuerte presión las palabras.
Cuando implosiona
por un instante, queda inmóvil
sin ninguna sede de revolución
Globos de idioma sobre un fondo negro.
La taracea se convierte en naufragio y aun el sonido
estrecho en la oscuridad, busca un abrigo.
La tinta
es surco de meteoritos en el cerebro
ha perforado el sonido, explotado
se vuelve a dormir
en total absoluto abandono


IV – Cosmogonía en cuatro partes

To create a little flower is the labour of ages.
W. Blake

Una flor se ha transmutado entre las Pléyades.
Explotó un rayo amarillo y morado en la esfera
antes de que llegara el ocaso. La vi que tenía
tallos de asteroides en la boca y no contuvo el aliento
colapsó el pecho y dentro del rayo un fuego
convirtió en aire el hueco



Entre los estambres, la flor contraía materia
en densos racimos de piedra
y cera estelar hinchada de vida iba
al olvido de cada palabra.
Llevaba en pedazos la espalda, destrozada
La espina dorsal explotada en el costado
Meteoro en otro mar



Las hojas brillaban en el cielo
doblándose al borde del hemisferio
y el tejido era amniótico
se cayó al suelo y lloró de nebulosas
y humores estelares perfumados de polen y miel
cuando de pronto se calientan al sol



Raíces agarraban fuertes toda la esfera celeste.
Racimos de zinc en el punto de fusión
Vertían linfa al corazón.
Cargados de polvo sintagmas
llenaron el cielo.
Explotado coronaba el amanecer





(poemas en su idioma original, italiano)


3 poesie da Periodiche dagli emisferi (inedito),
di Simone Maria Bonin




Never talk to strangers

[…] E tutto intorno un non so che di morto.
M. Bulgakov



I

Non ho nulla da spartire con questi versi rozzi che senti per le strade
in questa terra di paludi, di uomini che allevano il maiale
in questa zolla morta che trova nel silenzio la sua stasi


II


Sediamoci.
Parleremo delle mani, nomi che annunciano il domani
e i nostri occhi, involucri vuoti in questi posti
parleremo della resurrezione dei corpi
dell’amore, della trasmutazione del dolore e in ultimo
della gloria del sole.


III

Non ci cavi una parola da questo immoto d’acqua che domina ogni cosa.


IV

Per mancanza, edificano pietra che li consola
e umori di mattone e ancora cemento e catrame
per rendere infeconda la propria dimora e pura
e morbida la zolla – portare a livello la propria tomba


IV

Questa lingua è una mistura di inverni che portano al sonno
al dissolversi del giorno- la mollezza delle sillabe
il dileguarsi del suono – e se il buio pertiene all’uomo
è in un Uomo-e-Mondo dove noi non siamo (perché così non siamo)
ché questo buio non ha spazio per il nostro sintagma di amore umano




Periodiche dagli emisferi

I

Confondo il tempo del mio quotidiano.
Veglia e sonno vivono distratti il loro abbandono.
Seguo i meridiani della mano. La cometa di Halley
ti ha attraversato il palmo secoli fa.
Gli emisferi tracciano stelle nei bulbi oculari
api boreali scavano la pelle
fiori di neutrini esplodono dall’epidermide


II

Impastiamoci le ali con la cera
e senza più ossa nelle giunture
senza più tendini di parole andiamo
dove nuclei di elio
sono scarto per troppa pressione
perderemo pelle nell’atmosfera
la cenere del corpo si tingerà rosa
esplosa sarà la nostra casa
senza massa, senza gravità
inchiostro che si perde nell’aria


III

L’involgersi a massa del nucleo stellare
porta a forte pressione le parole.
Quando implode
per un instante, è immoto
senza mai sede di rivoluzione.
Globi di linguaggio su uno sfondo nero.
L’intarsio diventa naufragio e pure il suono
stretto dentro al buio, cerca riparo.
L’inchiostro
è solco di meteora nel pensiero
ha trapassato il suono, imploso
si rimette a dormire
in totale assoluto abbandono


IV – Cosmogonia in quattro parti

To create a little flower is the labour of ages.
W. Blake


Un fiore è trasmutato fra le Pleiadi.
Ha esploso un lampo giallo e viola nella volta
prima che venisse sera. L’ho visto che teneva
steli di asteroidi nella bocca e non ha retto il fiato
il polmone è collassato e dentro al lampo un fuoco
ha reso fiato il vuoto




Fra gli stami il fiore contraeva materia
in densi ammassi di pietra
e cera stellare gonfia di vita andava
dimentico di ogni parola.
Portava a pezzi la schiena, in frantumi
La spina dorsale esplosa nel fianco
Meteora in altro mare




Le foglie brillavano al buio
flettendosi al limite dell’emisfero
e il tessuto era amniotico
ricadeva al suolo e piangeva di nebule
e umori stellari profumati di polline e miele
quando improvvisi riscaldati dal sole



Radici stringevano forte l’intera volta celeste.
Ammassi di zinco al punto di fusione
a riversare linfa al cuore.
Carichi di polvere sintagmi
inondavano il cielo.
Esploso coronava il mattino







Simone Maria Bonin

Simone Maria Bonin nasce a Venezia Mestre il 10 novembre 1993. Figlio
unico, in tenera età si trasferisce a Paese dove attualmente risiede.

All’età di 15 anni trascorre sei mesi della propria vita in Costa Rica e nel
luglio 2012 si diploma al liceo scientifi co “Leonardo da Vinci” di Treviso, ora studia Matematica ed Economia in Inghilterra, presso l’Università di Warwick.

Dopo un contatto giovanile ed acerbo con la poesia francese, da cui trae
ispirazione e forma la presente raccolta, ha cominciato a occuparsi di letteratura angloamericana traducendo poeti modernisti e romantici, e vivacchia trascorrendo parte del suo tempo libero in cucina, tra i fornelli, di cui è grande appassionato, o in qualche viaggio sempre dietro l’angolo.



Simone Maria Bonin
Parole d’un solitario amante



Parole d’un solitario amante
alla tua lontananza




A volte disprezzo
questo corpo che
oscura il foglio,
si espone nudo e tuo
al mondo.





Mi ricordi quando il vento
spostava le nuvole incimurrite
e fra le mani io tenevo una farfalla;
un raggio di luce me la chiese
e la sciolsi alla vita, lì, nell’aria...

e mi ricordi di quella farfalla
 a danzare spavalda nell’oro
del sole, orgogliosa di gioia

e di quell’ape, ricordi, che ronzando
 paff uta fra i sospiri smeraldo
mi colse come fi ore al vento,
prendendomi con sé in un viaggio eterno.

Mi accolgono ora le voci dell’alba, ascolto
suoni e canti d’altro mondo e mi ricordi
del fremere di quella notte d’inverno,
di un mattino sognato in lacrime
combattute fra realtà e sogno.





Non mi appaga che il tuo
prendere la vita fra le mani
e lanciarla a denti serrati
nel baratro ignoto della tempesta.





Vorrei fossimo due
fl ebili scintille, dimenticate
dal fuoco e portate via, lontano,
verso nuvole dense di spezie,

sentire pieno lì il cuore
del ricco odore di zaff erano o
stuzzicarci il naso il pizzichìo
amaranto del pepe.

 Vorrei tessere il tempo nell’oceano
diamante, senza più nomi che
 plasmino quest’animo informe
sulle armoniche calde del Sole...

Ci tufferemmo nell`acqua dorata
di mari lontani, disegnando la vita
in un’onda leggera, seguiti
dalle azzurre schiume d’estate...

vorrei che fossimo la luce, raggiungere
ogni cosa in un unico istante ed
ergersi contro l’ombra del vuoto
in un sorriso smeraldo timoroso di niente.





Camminerò su fi li di rame
tesi fra nuvole e ombre
su strade e sentieri battuti dai
venti. Sospinto ai confi ni del mondo
sarò tramonto d’una foglia d’autunno.

E non sarà tregua né stancherà il passo,
con ali zingare soppeserò il silenzio,
trascinato dall’odore dell’erba, da volti
immensi e privi di luce.

Non pronuncerò parola, non
un solo grammo d’aria strapperò al cielo
e uno spirito errante e trasognato sarò
fra le folli braccia del mondo.






“Mancherà per molto tempo”
Dissi.

“Portale dei biscotti” riempiendomene un cartoccio
“dei suoi preferiti al curry e di nuovi poi, al mirtillo
rosso”.



Eri solita dar baci in corsa,
salutarmi con crucci sdruccioli:
un su e giù di voci e umori, come canti
 al giunger sera, amarmi a tempi.

Mi manca il tuo cercarmi.





Solo, nei chiari sentieri d’alba,
do inizio ad altro giorno

Tu, conquistandomi il pensiero,
lo penetri poco per volta

come gelida brezza di ricordo
dai forma al presente vagabondo.

Poi improvvisa te ne vai
solitaria, seguendo nuvole e nebbia,

Via per riapparire al mio sguardo
velata dal lungo silenzio, la notte.

Ed entusiasta ti spoglio, ti
svesto istante per istante

per rivederti nuda, e aff amato
assaporare il tuo cuore

Raggiungo ogni parola non detta
ogni emozione dispersa

Sono un pittore di immagini
un artista dell’aria

Di sogni mi nutro
fi no a che, forte di braccio,

una tua mano mi
riporta certezze

che il silenzio, perenne tramonto,
indebolito aveva con docile dubbio






Si è stranieri a
calpestare l’immenso





La notte mi
preme le ossa e
 non più il tuo corpo,
signorina farfalla

mi opprime un silenzio
macchiato di rosso,
soff ocante e freddo,
le immobili labbra
di un morto.





Mi si è persa la parola
fra le dense nubi della vita, voce
che tace, mesta, in sentieri infradiciti dal piombo.







Poesia
hai sempre fame ed io
non so che darti.
Donna dolce e vorace
tu mi strappi la carne
quando il cielo è senza stelle
e tace.





Sussurro fi occhi di lacrime
sciolti come ghiaccio al mormorare
del fuoco, così languido,
così sdrucciolo e per nulla tiepido
stasera, come morto.





Non c’è sguardo
che dia volto
al silenzio

Né parola
che conceda
un tuo assenso

- E s’era folle quel sogno
che a me dolce
ti trasse

O s’era folle quel vento
che in due labbra
ti avvolse -

al mondo
io
adesso
chiedo solo
del tempo

per amarti
e amarti ancora,
 sciocco,

non più verso
ma corpo.






Potesse aff errarti la mia parola
sarebbe una lancia di ghiaccio, fi amma
densa di fango, sarebbe esile
odore di pioggia o maestoso fulmine
a trattenere per un solo istante
questo Tutto in fuga.

Potesse aff errarti la mia parola
e non far piangere lacrime amare
al saperti lontano, potesse aff errarti, dico,
e sogno e realtà m’abbraccerebbero
insieme in un mondo più nuovo.

Parola storpia, parola amata, insignifi cante
nulla a colorare un’anima
d’ambra, potesse sfi orarti, toccarti,
amarti quest’esile parola
d’un verde non più verde come
la giada morta.






Un rimorso mai colto sta
a marcire quale il grano
nelle fradice piogge d’autunno






Finì
come fi nisce
ogni sogno,

come il giorno,
la notte del mondo

e una paura grande
e il tuo cantare
rotto






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