DANIELA ATTANASIO
Daniela Attanasio. Poeta. Nacida en Roma (Italia).
Ha pubblicato cinque libri di poesia: La cura delle cose (Empiria 1993), Sotto il sole (Empiria 1999, Premio Dario Bellezza, Premio Unione Scrittori Italiani), Del mio e dell'altrui amore (Empiria 2005, Premio Camaiore), Il ritorno all'isola (Aragno 2010, Premio Penna, Di questo mondo (Aragno, 2013). Sue poesie sono presenti nell'Almanacco dello Specchio, Mondadori 2009 e nell'antologia Nuovi Poeti Italiani 6, Einaudi 2012. Dal 2007 cura la rassegna annuale di poesia Teramopoesia. Come critica ha collaborato con quotidiani e riviste letterarie.
Premios
Premio Dario Bellezza, Premio Unione Scrittori Italiani, Premio Camaiore, Premio Penna
LAS HORAS MERIDIANAS
A quién debo dar gracias
por este ancho cielo de luz que de mañana
vence cualquier escándalo privado
y me encamina sobre un terreno
cultivado de prácticas divinas.
Plantada como un árbol en el patio
en mí da fruto la idea de curación de la condena
y miro el gato
adormecido en el fulgor del sol,
los ojos como hendiduras.
El gato permanece en un futuro quieto
sin llenar la espera del sueño
y no conoce otro diseño
si no el del alimento y el amor.
¿Hacia quién debo alzar la mirada
por estas vívidas horas?, ¿qué haré después
cuando la sombra haya ahuyentado al gato
y yo me desarraigue de mi patio?
Traducción de Yolanda Ibáñez
LE ORE MERIDIANE
Chi devo ringraziare
per questo cielo largo di luce che a mattina
sconfigge ogni scandalo privato
e m’incammina sopra un terreno
coltivato a pratiche divine.
Piantata come un albero in cortile
in me frutta l’idea di guarigione dalla condanna
e guardo il gatto
appisolato nell’abbaglio del sole,
gli occhi stretti lavorati a taglio.
Il gatto se ne sta in un futuro fermo
senza riempire l’attesa del sonno
e non conosce altro disegno
se non quello del cibo e dell’amore.
A chi devo levare lo sguardo
per queste vivide ore, che cosa farò dopo
quando l’ombra avrà scacciato il gatto
e io mi spianterò dal mio cortile?
Da: Il ritorno all’isola, di Daniela Attanasio
Risveglio
Questa mattina uscendo dal sonno
ho visto entrare dai vetri della finestra una luce fredda
simile all’incedere di una compagna risentita e severa.
Qualcuno allora mi spieghi perché la mia finestra,
nei risvegli di luce calda, è Gerusalemme e la sua Moschea
Gerusalemme e la sua Porta, Gerusalemme e il Getsemani.
Sembra non ci sia spazio né aria per i miei risvegli:
o nel freddo fondente dell’alba, così vicino al dolore,
o nel calore del sacro che non tocca la verità dei miei
pensieri.
Luce e voce della vita passano senza mai collidere.
Commiato
Un molo di cemento / dente forte.
Un binario di metafore secche
poche parole di commiato.
Coraggio e dolore insieme
qualcosa di simile
alla poesia.
Nell’aria fluttuava un gocciolare freddo.
Bagnava capelli e spalle, sull’acqua spezzava
piccole lame di vento, un’increspatura
come di labbra disgustate da tanto inespresso dolore.
«Va – t – en, va – t – en…»
Una forma nuova
Un nome, un’idea e ci perdiamo
scivoliamo fuori liquidi,
prendiamo forma nuova -
una forma nuova dell’idea, del nome
il tuo sorriso come un pieno nella vita
come un filo d’erba che scivola fuori dalle labbra.
La nuca è lucida, nera
la luce si spande in una vasca d’acqua
simile a un fiore. Per una breve incoerenza
io sono sola con il silenzio che diventa la testa
che diventa il respiro.
Sono già l’altro
l’altra idea, l’altro nome.
Nata
Niente s’è spezzato.
Nata.
E sono ancora dentro quella
nostalgia di vita che è una nascita.
Da: Lei, la voce
Ti conosci ma non abbastanza per fronteggiare il terrore di
un cielo
troppo scuro sopra la tua testa e di un blu
troppo profondo per essere semplicemente mare.
Dentro o dopo c’è un bianco accecante – tu lo chiami amore
*
da tutti i tuoi mali d’amore nasce sempre qualcosa,
tocca la primavera di aprile scolpita sulle foglie
i voli frastagliati degli uccelli, le rondinelle
ma il tempo non è mai un compagno, ti lascia sempre
indietro.
Da un punto fermo vedi le case che non hai abitato
uomini e donne che non hai conosciuto
spiriti dell’età passati prima o dopo
*
sono da qualche parte le tue mani, infilate nel taglio della
giacca
fredde della neve caduta in un improvviso scroscio d’acqua
sopra la tua città di nero catrame. Sono mani pronte a
congiungersi
- malgrado il gelo di un inverno così poco mediterraneo -
mani sottili e nodose, due libere associazioni lanciate sulla
carta
dei numeri e delle possibilità
e poi cadute strette sul selciato di una chiostrina
*
se nella luce che fioriva hai cominciato a maledire il mondo
il centro del tuo dolore si è allargato come una goccia d’olio
nell’acqua
come una macchia d’inchiostro -
una cosa non vista, persa tra i libri della tua stanza
se hai imparato a maledire il mondo mentre la luce che
fioriva
ti sfiorava la pelle
quella luce non ha neppure riscaldato il poco amore
conservato nel tuo cassetto della malinconia
maledicendo il mondo sei ritornata al dolore dell’infanzia
quando anche la spina di una rosa sanguinava in silenzio.
.
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