domingo, 21 de noviembre de 2010

LUCIO ZINNA [2.022]


Lucio Zinna

Lucio Zinna nació en 1938 en Mazara del Vallo (Trapani), Italia, y reside en Palermo. Crítico de arte y literatura, se ha ocupado de Nietzsche, Kafka, Nievo, Luzi, Guidacci y de numerosos autores del Novecento siciliano (entre otros, Pirandello, Alessio Di Giovanni, G. E. Nuccio, Rosso di San Secondo, Quasimodo, Sciascia, Pizzuto, Spinelli, Piccolo, Poidomani, Gori, Ganci Battaglia y Virgilio Titone) en ensayos aparecidos en actas de congresos, revistas especializadas e introducciones críticas de ediciones a su cargo.

Obras de poesía: Il filobus dei giorni (1964), Un rapido celiare (1974), Sàgana (1976, 1978), Abbandonare Troia (1986), Bonsai (al que pertenecen estos poemas, 1989), Sàgana e dopo (1991) y La casarca (1992). Su obra poética ha confluido en el volumen antológico Il verso di vivere (1994), en la colección "Le antologie della poesia", dirigida por Rodolfo Di Biasio y Giuliano Manacorda, al que ha seguido la compilación La porcellana più fine (2002).

Obras de narrativa: Antimonium 14 (1967), Come un sogno incredibile - Ipotesi sul caso Nievo (1980), Il ponte dell'ammiraglio e altre narrazioni (1986), Trittico clandestino (1991) y Quando bevea Rosmunda (2001).

Sus textos figuran en numerosas antologías poéticas del Novecento y en algunas recopilaciones escolares. Han sido traducidos al inglés, francés, español, portugués, griego, rumano, serbocroata y macedonio. Ha dirigido las revistas literarias Sintesi, Estuario y Arenaria. Asimismo ha realizado —de 1980 a 1988— varios programas radiofónicos culturales para la RAI siciliana. Es autor de textos para documentales televisivos (RAI Sicilia) y cinematográficos (Istituto Luce).

Se han interesado por su obra, con ensayos y recensiones, prestigiosos críticos e importantes órganos de prensa.


Lucio Zinna è nato a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1938, si è trasferito giovanissimo a Palermo per seguire gli studi di filosofia e pedagogia nell'Università, dove si è laureato. Nel 1965 ha fondato a Palermo il Gruppo Beta, che interagì con il Gruppo 63. Ha operato nell’ambito dello storico “Centro Pitré”, negli anni ’70-’90. Ha collaborato con la RAI siciliana per i programmi culturali dal 1981 al 1988. Dal 2007 vive a Bagheria. Ha pubblicato, di poesia: Il filobus dei giorni (Organizzazione Editoriale, 1964), Un rapido celiare (Quaderni del cormorano, 1974), Sàgana (Il Punto, 1976), Abbandonare Troia (Forum Quinta Generazione, 1986), Bonsai (ILA Palma, 1989), Sagana e dopo (Cultura Duemila, 1991), La casarca (La Centona, 1992), Il verso di vivere (Caramanica, 1994), La porcellana più fine (Sciascia, 2002), Poesie a mezz’aria (LietoColle, 2009), Stramenia (con dipinti di E. Petrizzi, L’Arca Felice, 2010); di narrativa: Antimonium 14 (Quaderni del cormorano, 1967), Come un sogno incredibile / Il caso Nievo (Giardini 1980, Caramanica 2006), Il ponte dell’ammiraglio (Thule, 1986), Trittico Clandestino (Ediprint, 1991), Un’estate a Ballarò e altri racconti (Ianua, 2010). Numerosi i saggi, prevalentemente dedicati ad autori siciliani del ‘900, in parte confluiti nel volume La parola e l’isola. Opere e figure del Novecento letterario siciliano (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici, 2007). Ha curato la sezione Sicilia (testo critico e antologia) in “Dialect Poetry of Southern Italy”, a cura di L. Bonaffini (Legas, New York, 1997). Ne “I quaderni di Arenaria” sono apparsi: Nietzsche e Kafka (2001), Due letture dantesche (2002), Gli equilibri della poesia (2003), Perbenismo e trasgressione nel ‘Pinocchio’ di Collodi (2008), Stagioni della vita e metafore della ‘soglia’ nel realismo radicale di Leopardi (2010). È stato condirettore e redattore capo di periodici letterari (Sintesi, Nuovo Romanticismo, Arenaria). Cura in rete la collana di volumi collettanei di letteratura “Quaderni di Arenaria”. Gli sono stati attribuiti il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1985) e tre premi alla carriera (2003, 2010, 2012). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, spagnolo, francese, portoghese, greco, romeno, serbo-croato, macedone.

E-mail    luciozinna@gmail.com
          luciozinna@alice.it
          luciozinna@quadernidiarenaria.it



Casablanca

1

La infancia enjuta y soleada la adolescencia
vasta y solitaria como un desierto de cítricos
y Casablanca un espejismo la más cercana
lejanía desde que allí se perdió mi padre
por cosas de la guerra (otra femme otro
hijo en la ruleta de la vida).


2

Cartes postales y viajeros sículos
(en la diáspora transitando por el valle de Mazara)
contaban de cúpulas moriscas sobre el océano
de jardines colgantes —nueva Babilonne—
de noches pespunteadas de diamantes de mercaderes
locuaces y embozados en la casba cautelosa.


3

Y la blanca ciudad suspendida en una niebla
que el sol de África despejó en broma
A mi querido papá lejano / con mucho abecto
releyó mi madre y subrayó nerviosa la «b»
(tuvo una prolongación reparadora
en la foto de «Boscarino» con dedicatoria — me retrataba
con un libro de mitos la mirada perdida
en el vacío). En el vacío Casablanca un milagro.


4

Llegaron más tarde perfumes de oriente
huríes siempreverdes pecadoras (des)veladas
arenas rojizas de siroco. Nadie
me decepcionó más que Humphrey Bogart. Lorenzo
más sencillamente —ex prisionero en desbandada—
se había convertido en dueño de una épicerie fine
abarrotado almacén para ciudadanos franceses
«La Jardinière».


5

Al independizarse Marruecos debió abandonarlo todo
retirarse a Lyon donde murió de un tumor
en el cerebelo o en un accidente de camión nunca se supo
con precisión. Lyon fue —de Casablanca—
sucedáneo y fusión tuvo también ella minaretes
palmeras blancos palacios sabía a ultramar
hasta el pâté de foie.

Versión de Carlos Vitale



L'infanzia magra e solatìa l'adolescenza
vasta e solinga come un deserto d'agrumi
e Casablanca un miraggio la più vicina
lontananza da che vi si sperdette il padre
per fatti di guerra (altra femme altro
figlio nella roulette del vivere).



Cartes postales e viaggiatori siculi
(nella diaspora transitanti per il valmazàra)
narravano di cupole moresche sull'oceano
di pensili giardini —novella Babilonne—
di notti trapunte di diamanti di mercanti
ciarlieri e intabarrati nella casbah guardinga.



E la bianca città sospesa in una nebbia
che il sole d'Affrica diradò per celia.
Al caro papà lontano / con tanto abbetto
rilesse mia madre e calcò nervosa sulle «bb»
(ebbero un prolungamento riparatore
nella «fotoboscarino» con dedica — mi ritraeva
con un libro di miti lo sguardo sperso
nel vuoto). Nel vuoto Casablanca un miracolo.



Giunsero più tardi profumi d'oriente
urì sempreverdi peccatrici (dis)velate
sabbie rossastre di scirocco. Nessuno
mi deluse più di Humphrey Bogart. Lorenzo
più semplicemente —ex prigioniero sbandato—
era divenuto padrone di un'épicerie fine
dovizioso magazzino per cittadini francesi 
«La Jardinière».



A Marocco indipendente dovette tutto mollare
ridursi a Lyon dove morì di tumore
al cervelletto o in un incidente di camion mai si seppe
con precisione. Lyon fu —di Casablanca—
surrogato e fusione ebbe anch'essa minareti 
palmizi bianchi palazzi sapeva d'oltremare
persino il pâté de foie.




da Un rapido celiare

Antica lettera

II mio asteroide brilla in solstizi d’inverno non puoi
vederlo nunc et semper cara astrale distanza fra noi.
Io non so più quand’è che brilla il tuo pianeta bevo
desolazioni e cerco / di sintonizzarmi come posso /
il mio silenzio è chiuso / in un bicchiere. Abito in via
Veneto tu in via Sardegna — quattro passi si direbbe
— ogni passo un milione soltanto di anni luce. Sono
la tua distanza e questo (gelido) vento di dicembre /
se ti rapisce angosce delusioni / è canto di fogliame di
cicale / triste la notte che / ritorna l’eco.
Mancano valvole antenne manca una rampa di lancio
al mio Cape Kennedy esperimento questa
memorizzazione tremenda.
Sei la mia distanza. È il problema se il pensiero
la brucia / ridivento eretico in rogo. Ti saluto.




da Abbandonare Troia

Frammenti per le creature
allora feci di te comodo esempio ed arzigogolo
(pure era in tempi di risentimento deciso forma
separata di colloquio ogni volta che si movesse
per il capo de todos los tormientos)
ognuna col suo segreto da rivelare come un dono
col suo briciolo di mistero in che siamo impastati
(alcune le rendemmo prigioni per diletto istraziate
per studio et ornamento)

ora tanta se ne possiede – strappatagli nel giro
vorticante d’incalcolabili centurie – da poterlo
oscurare / incidere un basta immane (a ragione
un corvo instancabile ci ha divorato il fegato
comunque inutilmente)
eccola veramente lapidata poi che fu ridotta
(o la più candida fra le mie sorelle) a meretrice
e sarà suo il sangue a scorrere nelle vene del mondo
il giorno in cui

e poiché non offendo m’è dura fatica il perdonare
questo l’oscuro punto il luogo frequente ove riposa
la sconfitta eppure là si muore ad ogni prevaricare
d’orgoglio o dando a usura gli affetti (né vale
liquefarsi nel rimorso se un accadimento imprevisto
ci rapisse un termine preciso di raffronto svelando
il triste gioco) abdicare è già cominciare a morire
deporre la dignitosa veste con la quale in un gesto
può azzerare Kölbe tutti i guasti del mondo



da Bonsai

Del tendere la mano

Di che vai discorrendo sperduto fratello
nelle carte nelle nebbie nell’innecessario
morso che azzanna fegato e cervello di quale
«atteggiarsi» che l’oggi non c’imponga a meri
fini di sopravvivenza di quali cattedre
che non siano di miseria (persino economica)
qui non ci sono – reali o ipotetiche – grandezze
peraltro impercorribili se non in noi – per noi –
nel nucleo agostiniano dove non può colpirci
nessuna bomba/damocle. Il cuore ci fa grandi
l’essenza stessa del verso non il clangore
di tube (oh miglio per uccelli di passo
oh becchime per polli). Riconquisto le mie
distanze come m’accadde per Lilli ma ora
siamo oltre la logica generosa di giovanili
amori. Ora esse hanno vertigini (depressioni
e levitazioni). Ergo riconduciamoci fratello
a una severa ermeneutica. Vieni. Tendere
la mano rimane un gesto possibile un reciproco
atto di giustizia.



Preghiera per i liberatori

Liberaci o Signore
dalla prepotenza di coloro
che hanno sempre qualcuno
da liberare.
Liberaci da questa loro
anomala schiavitù.

Libera nos Domine
dai liberatori
tradiscono se stessi
e i liberati
odiano i conquistatori
e li sostituiscono.

Lascia o Signore
che trovi ciascuno
il necessario impulso
ad ogni liberazione.
Che ciascuno possa liberarsi
(da solo o in compagnia)
liberamente.




da La casarca

Scilla e Cariddi

Si fonde nella memoria l’aritmetica
di questi viaggi terramare aritmiche
micro-evasioni toccate e fughe
per vagoni-cuccetta. E notturni
traghetti singhiozzanti manovre
peloritani oblò giovanili graffiti.
L’ascensione al master reunion
la Madonnina che s’affianca (vos
et ipsam civitatem) la sigaretta
accesa tra Scilla e Cariddi
(Circe scomparsa il ponte-miraggio)
né in cielo né in terra avverto
distante la casa – nell’arcipelago
più facilmente mi percepisco
frammento di cosmo – tra Scilla
e Cariddi con un’arancina e una birra.





da La porcellana più fine

Alba con filodiffusione

Mentre maggio sparge i suoi tepori
e nell’aria si coglie un’imminenza
di tigli (il ‘seppia’ di memoriali
reliquie che in olfatto si converte)
verzica questa vita nei suoi moti
di stadera alla ricerca del punto
di stabilità nell’illusorietà
del momento. È il presente
che effonde i suoi flussi polimorfi
in una concretezza di gesti e oggetti
e parole quasi fosse immutabile
come se perenne fosse tutto
tranne il fluire – sola perennità –
a fronte della nostra incombenza
di viventi con sospetto –
o speranza – d’immortalità
per declassati dei. E intanto
tutto scivola in silenzi o boati
(etiam al suono di un ‘concerto
Grosso’ di Corelli in un’alba
con filodiffusione) e scompare
nella lenta rapidità degli attimi
mentre maggio cosparge di tesori
quest’isola di sirene e nell’aria
sentore di gigli.




da Poesie a mezz’aria

Lustrura

La pioggia
fitta
persistente
appena cessata
ci lascia questa chiaria
che rende traslucidi
corpi e cose alberi e case
nel viale inzuppato di resina
e l’asfalto riflette percettibili sfrigolii
di ruote veloci
intanto che come ombre
noi due procediamo
sul marciapiedi che affianca la villa
mano nella mano silenti verso e oltre
l’arco
di nessun trionfo
mentre nella piazza che pare spoglia
il caffè dal grande chiosco
ottagonale a vetri
si offre per uno per due
per tre quarti d’ora
di addormire il destino
intepidire l’intrepidezza dell’ignoto
la soffusa irrealtà del giorno
paghi di essere comunque qui
comunque insieme
fatti certi dalla stessa incertezza
nella lustrura post-pluviale
di un imbronciato mattino qualsiasi.





da Stramenia

I molti e il loro altrove

Ormai i molti sono gli scomparsi
dal mio globo e non so che velo
li ricopra quale vento sottile
sussurri tra ora e allora tra qui e dove -
dove - come grido sommesso.

Dove siete se ancora siete chi vi cela in quale
cielo vi vela sotto quale vela navigate per quali
onde galattiche chi vi impedisce di lanciare
un amo o di agganciarlo oltre le nebbie
del ricordo se ancora in voi albergano ricordi.
Siete il mio popolo disperso nel gorgo
del tempo la mia diaspora in profondità.
Siete prossimi e inaccessibili siete compagni
silenti o smarriti in astrali spazialità
in quale comunità di trasparenze dimorate
o in quale solitudine stellare procedete
alla ricerca di un punto luminoso che nessuno
sa dove sia neanche nel vostro altrove dove sia.




da Le ore salvate

Partenze e arrivi

Non la partenza conta
né la fermezza o l’instabilità
del punto da cui ti muovi.
Conta quel che lasci
e cosa ti porti
(nel centro della pupilla
in un rincón del cuore)
il dolce e l’amaro.
E l’agrodolce.
Le esaltazioni e le paure.
E le albe
coi loro tramonti.
E il prossimo quando lo è.

Non l’arrivo conta
né la solidità o fluidezza
del punto verso cui ti muovi.
Conta quel che ti attende
se qualcuno ti attende
che cosa ti attendi
il cuore che vi conduci
se sono nuove le tue pupille.
E ancora le albe
coi loro tramonti.
E il prossimo se lo sarà.

Conta la vita
lì – nel suo spigolo –
a contare i passi.






Translations

The Fork

And in spite of the coordinated enterprises the iron
Volitions the strategic film shots at each
Real fork chance claims the right to a
Sharing in choices. The knight
Of La Mancha would let Rocinante decide release
The reins the pole opposed to human conceit
To Ficinian faber. Act on your own account
Place your conscience at war – persist clench
Your teeth – aside from this (let it be clear) life
Is life and goes (on its way) where life wants
In its parameters it chooses discreetly sometimes brutally
And suddenly ruffles upsets like an earthquake
There’s a Mercalli Scale of living vith which
To re-establish the play of the parts the mixed empire.


Smell of Acetylene

The oily smell of the acetylene from the lamp
At the seafront stand lighting up salads
Pumpkin seeds home-made bonbons fried chickpeas
Tormenting October-November after the sunset (you know)
The waves below – beyond the grating – scarcely
Perceptible nearly tenuous music behind the man
With the silent curse. Twenty lire were not
Many (a few even at that time) to consider
Our seed. Country nostalgias
And blue evenings were crunched seed after seed
In village solitude the mind wandering over neglected
Homework over Montepin’s intricate events
( “The madwomen’s physician” ) extravagant evasive or over a
Girl always glimpsed never approachable a name
(Ambretta, I think) pronounced by a girlfriend of hers a
Gaze two gazes three in the rather rigorous
Sameness of the days and everything lost in the clear
Sensation of a life at bottom still to be lived
Dragging along (in any case) a secret pain let’s hope not.


Delle Femmine Island

A pizza vith light blue Elide in the company of Marco
And of little-slice-of-heaven Silvana in this
Homely île-des-femmes when you turn past the belvedere
Of Sferracavallo. The Other World Beach canopy of reeds
The sea annoyed by Automatic Lover (turn it down
A bit). Lazy poet hard worker Marco narrates
Tales in installments of Sicily and Morici memorable painter
Of hidalgos there in his place is Arturo in Boothes.
And he orders Settesoli and four slices of watermelon. Operettas
Are outlined on the shore. August thus passes uselessly.
Halley’s comet must have passed between nine and ten
They say it’s hard to see (but it will escape us only
Out of inattention).
Long live us – all things considered–Marco.


For Massimiliano

When I grow up – you’d say to me when you were three – and you
Become a child again, I’ll be the one who takes your hand as far
As the park to have you play with the kids and I’ll offer you
A strawberry cone with whipped cream when you become
A child again I’ll buy you a smock and a lunch
Basket and accompany you to nursery school – it was
Your innocent cosmic order it was your irreprehensible
Sense of justice (if only for once
Childhood could govern the weary fortunes of the world)

Translated by David G. Murray



Sometimes One Ends Up

Of poetry I consider myself a long time addict

(I began in solitude at fourteen years old
with joints in terzarima at sixteen I was shooting up
blank verse later I injected myself – just enough –
free words in neoformalist experiments)

For a while now I’ve grown (solitary) my own stuff
I don’t suffer withdrawal symptoms cautious I avoid
overdoses

I fraternize with aliens of the word
with junkypoetrymaniacs with lyricaddicts

with the defenseless in more districts feared by power
mentally searched destined for camps
of deconcentration

The word is Indian cannabis and grows
in lands of freedom transformed word
redefined – vein music sling – it was
in the beginning

and will be in the end

(At times someone ends up crumpled
in a corner next to syringeverses at times
one dies a poet)


Dirge for my Cat Raf

Each time I narrate to myself with bitter anguish
(the French would say peine or amertume) your
exploits and sublime examples of feline loyalty your
capacity of dilating the span of the 15 cries
and 25 vocalizations conceded to your species
and I celebrate our drawn out dialogues and looks
with which you read my moods calibrating tenderness
rubs against me pure master of cerimonies
involontary confessor and lord of gratitudes.

A veil of emotion shattered the professional
exterior of the veternary clinic assistant
when – in the sad week
of passion – with his fingertips he intercepted your
then finished silent purring your “thank you”
for the intravenous drip that tried to assuage
the indomitable thirst of azotaemia. You expired that evening
and I wept for you like the brother I never had.
What did death fear with its violence
against a small defenseless one as you?

Receive a gentle being like the cat Raffaele
in your realm (of which I am unworthy) –
if it really exists somewhere – you who can
be (they say) also “God of armies.”
You can’t put up a bicolored sign saying: ANIMALS
KEEP OUT like a supermarket entrance.
What do you want me to do – Lord – in a paradise without cats?


For a winged passage

Angels navigate sidereal oceans
in azure leagues and silently land
on the tip of their wings in un/fathomable ports
then they branch out with bright shuffles
for single (and singular) destinations.

They pass impalpable to looks and leave
legible signs with alphabets from the intus
and lunettes of the soul. With a puff
they orient impossible darts for our
beneficial marks don’t let musical
flutters iridescent fragrances be perceived
(a conclusive whisper unhoped for
support an imperceptible clic
in our mental circuits reveals their passage).

Perhaps once their mission is accomplished
one of them sits next to you
in a minuscule pause and again for a bit
watches you live then with a cozy
smile nods or shakes its light chestnut
colored hair before it returns flying
through a half open skylight.

Translated by Barbara Carle


Tu viens peut-être

Tu viens peut-être du désert
– pas lents, yeux fermés –
en attendant qu’une fraîcheur de sources
ou de collines baise ta bouche.

Tu viens peut-être du désert,
tu n’as pas soif de seleil.

Et je viens de l’eau.
Je ne désire
que me confondre en toi.

Version de Andréa Genovese



Saint Sylvestre

Je ne tire pas sur la vieille année
n’aimant pas tirer (rebelle
à toute insondable pyrotechnie)
Elle me laisse –l’année mourante –
douloureuses expériences joyeuses
réalisations. N’est-ce pas le premier avantage
que de survivre et de mûrir?
Bien pour bien mal pour mal
cependant nous en sommes – amour –
sommes
avec les nôtres avec tous
les amoureux avec le chat
et la tortue. Prends ta flûte.
Le monde tourne et nous en sommes.
Version de Jean-Paul Mestas



Choral des émigrants

Le juif errant nous a passé son fardeau,
nous le portons sur le dos
du matin au soir – poids toujours terrible –
nos pères l’ont reçu
en disant demain, mais c’est déjà nous
la septième génération, et nous laisserons
le fardeau à nos enfants. Voilà le secret,
et nous ne savons comment le révéler.
Le juif errant nous a passé son fardeau
et nous voguons vers des ports sans nom.
Nous connaissons le sommeil dans les gares.
On nous donnerait des coups de pied
comme à des chiens.
Si un grillage nous sépare
ne demande pas pourquoi.
Prends ta paye et tais – toi.
Crache sur les gratte-ciels et les machines.
Le juif errant nous a passé son fardeau
et nous le porterons sur la lune
nous tes éternels sans-terre – notre langue
ne sait plus rien dire, plus de mots,
certainement plus de mots.
Nos mains qui sentent la chaux
et la graisse à moteur, le soir
servent à faire les pâtes à l’ail, et la sauce;
Ici les filles ont des cheveux blonds,
des yeux de jument, et remuent les lèvres
d’une certaine façon, mais si tu les touches
elles s’enfuient
Un jour on nous lynchera comme des nègres.
Le soir nous fumons et faisons semblant de vivre
et notre amour se noie dans la mer
(dors mon amour et rêve à la fontaine
où je t’ai embrassée pour la première fois)
A noêl nous revenons et notre joie
nous fait passer pour fous – nous sommes fous –
(et je suis fou mon amour, je veux un enfant
qui courre à travers champs et vers la mer).
Oh les interminables trains du Sud
trains impossibles trains noirs
qui te conduisent vers le Sud
couché sur la plate-forme
la tête sur la valise.
Des cristaux de larmes au yeux
tandis que le bac va vers Messine.
Notre mer, le sel, la campagne,
notre blé, les femmes en noir,
les thons, les filets, le sentier des troupeaux.
Nous la voulons ici la terre, l’usine
ici nous voulons naître et mourir.

Notre cœur a forme de triangle.
(1966)

Version d'Armand Monjo











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