miércoles, 4 de noviembre de 2015

ANTONIO SANTORI [17.359] Poeta de Italia


Antonio Santori 

(Montreal, catorce de marzo de mil novecientos sesenta y uno - Civitanova, 30 - 08 - 2007) fue un poeta, profesor y ensayista italiano.

Nacido en Montreal (Canadá) de padres italianos, regresó a una edad temprana al territorio de la Marche, donde, entre las localidades de Fermo, Macerata, Civitanova Marche y Sant'Elpidio a Mare ha vivido durante el resto de su vida.

Se graduó en Filosofía en la Universidad de Macerata, fue profesor de Ciencias Humanas de las escuelas secundarias públicas de Camerino y Fermo y al SSIS de 'Universidad de Macerata. Fundó y dirigió el Centro de Investigación de "Laboratorio de Poesía", dedicado al estudio de la literatura europea y activo 1993 a 2007; Laboratorio, Santori ha ocupado en los últimos años talleres y reuniones con los principales poetas italianos contemporáneos. Entre los participantes activos en los talleres Santori en esos años se incluyen, entre otros, el poeta y el filósofo Massimo Gezzi y dramaturgo César Catà, su discípulo y luego por el resto de la vida de Santori.

Fundó y dirigió la casa "Ediciones El Albatross" que publican y, entre 1998 y 2001, el "Laboratorio" literaria mensual, una de las primeras revistas italianas telemáticas dedicadas a la literatura europea contemporánea.

Murió en la ciudad de Civitanova el 30 de agosto de 2007, a los 46 años, de un cáncer de pulmón.


OBRA

Poesía

Infinita , NCE, 1990.
Albergo a ore , NCE, 1992.
Saltata , NCE, 1998.
La linea alba , Marsilio, 2007.
Antonio Santori. L'opera poetica , Antologia a cura di Cesare Catà e Angela Bianchi (forthcoming).

Ensayo

La poetica del dialogo , in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, XVIII, Editrice Antenore, Padova, 1985.
Quei loro incontri… (i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese) , Antenore 1985 ("Premio Pavese" 1993).
Verso la meraviglia d'oro. Dono e incoscienza in Nietzsche , Il Lavoro Editoriale, Ancona, 1990.
Dall'Infinita al dialogo , in "clanDestino", 3 / 1990.
Chi sono io, chi sei tu: l' uomo, la donna, il rapporto con l'alterità dal Medioevo a noi , Andrea Livi Editore, Fermo, 2003.

Teatro 

Come Dio
Il sogno di Dante
Nel Voltarsi

Canción

Alberi volanti. La storia di Bosko e Admira , musica di Bip Gismondi testo di Antonio Santori





Esta noche he soñado contigo, tú
eras blanco y me quitabas
el maquillaje con las manos.
Manos de luna, manos
de ladrón. Al despertarme
he sentido en mi
un aliento, como si
otro viviese
en mi aliento. Así que
he pensado en nuestro
plan, en la cuerda enganchada
al clavo del balcón,
como previsto.
Fin del laberinto, fin
del destino.
He dicho: no puedes
haber perdido el hilo
de la conversación. El guión
había que leerlo, no recitarlo.

Traducción de Encarny Romero



Stanotte ti ho sognato, tu
eri bianco e mi toglievi
il trucco con le mani.
Mani di luna, mani
da ladro. Svegliandomi
ho sentito in me
un respiro, come se
un altro mi vivesse
nel respiro. Così
ho pensato al nostro
piano, al filo appeso
al chiodo del bancone,
come previsto.
Fine del labirinto, fine
del fato.
Ho detto: non puoi
aver perso il filo
del discorso. Il copione
andava letto, non recitato



da Saltata


Saltata. Sono stata
saltata. Una sera
lui parlerà di me,
dirà: peccato, non averla
mai incontrata,
e berrà vino di Francia
dimenticando ancora
la mia vita.
Riderà, raccontando
di altri libri e di donne
perdute nell’Oceano.
Non mi rimpiangerà.
Io che potevo cambiarla
la sua vita.
Mi ha semplicemente
ignorata.
Ha scorso veloce
la pagina accanto
(il viso infuriato)
chiudendo di scatto
il libro pregiato
in cui sono nata.

*

Avrei preferito non esserci
mai stata.
Nel vento che mi apriva
(mi inseguiva)
inseguivo un’altra pagina
(nell’aria)
che diventava, come me,
una cosa inviolata,
non necessaria.

*

Eppure avrei potuto cambiare
la sua storia. Improvvisarla.
Dentro di me la gioia, l’intesa
sibillina che ci salva,
dentro di me la voglia
dell’attesa (dentro di me)
dentro di me la nostra storia.

*

Dentro di me.

*

Dentro di me la gioia,
la strada silenziosa
senza porta.
Non andare. Non andare.
Non c’era una volta…

*

Tu insegnavi ai ragazzi
la follia. Forse per questo
ti preoccupavi di fingere.
Sognavi versi afatici,
una piccola libreria
da stringere, un sogno
di metallo, denso di cornici.
Avevi compreso di essere
inaudito, di vivere
come i suoni delle radici
o come il senso della corsa
del cavallo, verso il mondo
immenso. Non avevi amici,
se non i tuoni e le stanze
dove a volte ti creavi,
o il giallo furibondo
negli occhi di Euridice
e la borsa in cui stivavi
rivolte e danze.
Non intendevi essere felice.

*

A volte sognavi di entrare
nella pelle, di entrare
dolcemente, freddamente.
Come la pioggia
che scende dentro il mare.
Perché come il mare
sentivi di essere settembre,
di proteggere l’odore
dell’animale ribelle,
sgusciante nell’acqua luminosa.
Non chiedevi l’amore. Sognavi
di inseguirlo nell’aria
sospettosa della terra del Nome,
tra i silenzi delle cose,
dove un giorno hai dormito
come un colore. […]

*

Per questo mi sognavi.
Mi sognavi distesa
come una donna prima
dell’amplesso. Ero io
l’amore? Ero io l’attesa?
Ogni volta mi sentivi
diversa ma mi chiamavi
con lo stesso nome.
Ero la tua cantina, la tua
discesa. La tua vita,
la tua morte, irrisolta.
Così la mattina ti svegliavi
in difesa della tua sorte.
Del tuo mazzo di chiavi,
delle porte che aprivi
e chiudevi, dei tuoi scaltri
colleghi. Mi lasciavi al di là.
Come una storia noiosa,
come il furto del cuore
degli altri. Al di là di te.
Come una cosa.

*

Come una cosa.
Come le cose
del mondo che rimangono
cose. Cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io non ero là
ma nel dolore
delle cose, delle cose
del mondo che rimangono
cose. Io non ero là,
perché il dolore
è nella pagina piena
di cose, di cose ignote
e sole. Silenziose.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero il nome
delle cose, nella pagina
infinita e stretta
su di sé, come una cosa.
Tu lo sapevi da sempre
che io ero là, la vita
stretta su di sé,
la dolorosa[…]

NCE, 1996 (2° ed. I Quaderni del Battello Ebbro-L’Albatro Edizioni, 2000)




da Infinita


I.

Stanotte abbiamo parlato
di gesti diversi,
di possibili creazioni,
immersi nello spazio
udibile, tra i corpi
assorti nel sonno.
Ho respinto l’idea
di un desiderio mai sazio,
che imponga ribellioni,
Tu hai fatto un cenno
con lo sguardo alla ragazza
che ci dorme accanto
e che tenta verso il confine
l’impossibile richiamo.
"Elena rischia di perdersi",
hai detto infine, e il tuo
disegno di donna
si è mosso (già assonnato)
nella luce del faro
che scivolava: il nostro
è stato un sonno agitato.[…]


III.

Ecco la valle: non confonderla
con uno spazio d’intese,
dove il verde e il giallo
formano canali da percorrere.
Senti ancora impensabile
la strada da qui a lì
e i traguardi parziali
che nessuno di noi
ha ancora colto.
Tutto è vulnerabile
per questa via; gli stessi
sguardi che incontrano
animali (in volo o in fuga)
o un volto.


IV.

Cediamo perfino la nostra
distrazione alla conca
dai grandi raggi,
alla tensione di formule
in ascolto, ai nostri passi.
Nascosti dentro i sessi,
ci confondiamo con i giorni
per credere che siano
noi stessi, inventiamo forze
sconosciute per ritrovare
i vicoli, le baracche.
Entriamo con tanti altri
nudi, nelle docce.


V.

Cediamo i nostri giuochi
di marionette ai cunicoli
di sabbia ed erbe
o alle rocce.
Ripetiamo i nomi delle cose
perché intendiamo e
essere tra queste.
E dall’alto senti impensabili
le nostre stesse risposte,
se ciò che si rinserra
senza minacce
noi lo dobbiamo ripetere.
Senti ancora attendere
la voce, mentre hai
tra le mani frutta
di terra e mi guardi
e credi di sorridere.

NCE,1990





da Albergo a ore


L’albergo non ha finestre. Né potrebbe averne, mi pare.
Percorri da anni le buie ringhiere e sali o scendi
gli innumerevoli piani.



CORRIDOIO

Non comprendo ancora
il nostro significato.
Se camminiamo
tra porte
inseguite
da porte,
ripenso (ridendo)
a ciò che siamo.
Tu aspetti il boato,
le fiamme,
l’odore del gatto
bruciato, la nostra
vera sorte.
Io non so dove
ci conduciamo.

*

Forse davvero tavoli
e sedie parlano
un linguaggio
cifrato, oltremondano.
Io non so se il tempo
ha già tracciato
le svolte,
se il cammino
che resta
non sarà illimitato.

*

Sono pensieri, Sara,
che non ti ho mai
confessato.
Ma se camminiamo
sfiorando le braccia
alla donna sudata,
all’omino fissato,
se nel buio inseguiamo
(oltre al gatto)
la traccia
del bambino scocciato
che ruba le scarpe,
puoi pensare anche tu
alla formula usata
per stanare di fatto
l’inquilino assediato.

*

Il cliente è da sempre
sfrattato. Lo dice
il contratto.
Noi possiamo seguire
l’eterna sfilata
e sorridere appena
dei tanti
che non hanno sporcato.
E’ la solita scena
e non ha significato.
I garanti lo sanno
che anche il nostro
sorriso fa parte
del giuoco.

*

Forse davvero dovremmo
fermarci in un unico
corpo abbracciato,
bloccare il trasloco,
produrre dissensi.
Diranno che nulla
è mutato?

*

Sara, che ne pensi?

NCE, 1992




translations



OVERLOOKED

Overlooked. I’ve been
overlooked. One night
he will talk about me,
he will say: what a pity, I
never met her,
and will drink French wine
forgetting my life
once again.
He will laugh, telling
about other books and women
lost in the Ocean.
He will not regret me.
Me that could have changed
his life.
He simply
ignored me.
He quickly skimmed
the page next to me
(fierce look on his face)
abruptly closing
the precious book
in which I was born.

*

I wish I’d
never been in there.
In the wind that opened me
(chased me)
I chased another page
(in the air)
that became, like me,
an inviolated
unnecessary thing.

*

And yet I could have changed
his story. Improvise it.
Inside me the joy, the sibylline
understanding that save us,
inside me the wish
for waiting (inside me)
inside me our story.

*

Inside me.

*

Inside me the joy,
the silent road
with no way out.
Don’t go. Don’t go.
Once upon no time…

*

You taught youths
craziness. Maybe that’s why
you strove to make believe.
You dreamed of aphasic verse,
a little library
to hold tight, a dream
of metal, full of frames.
You had understood you were
unheard, you were living
like the sounds of roots
or the sense of the horse’s
run, toward the endless
world. You had no friends,
but the thunder and the rooms
where you sometimes created yourself,
or the furious yellow
in Euridice’s eyes
and the bag where you stowed
revolts and dances.
You weren’t looking for happiness.

*

Sometimes you dreamed of deep
into the skin, deep into it
tenderly, coldly.
Like the rain
going deep into the sea.
Because like the sea
you felt you were September,
you felt you protected odour
of the rebellious animal,
slipping away in the luminous water.
You weren’t asking for love. You dreamed
of chasing it in the suspicious
air of the land of the Name,
among silent things,
where once you slept
like a colour.

Tanslated by Tania Calcinaro




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