Beppe Salvia
(Potenza, 10 de octubre 1954 - Roma , 06 de abril 1985 ) fue un poeta italiano.
Publicó sus primeros poemas en la revista "New Topic" a finales de los años 70, y participó de la renovación de la poesía publicada en las revistas de los años 80 'Prato pagano" (dirigida por Gabriella Sica, con quien colaboró desde principios de los años 80, y en el que muchos de los textos aparecen incluso después de su muerte), y "Embers" (que fundó a finales de los años 80, con Marco Lodoli, Claudio Damiani, Arnaldo Colasanti y otros).
El primer libro, fue publicado póstumamente en 1985.
Formó parte de la nueva escuela romana de la poesía.
Él murió suicidándose, en Roma, el 06 de abril 1985 .
"Beppe murió en Roma, con treinta años, saltando de la ventana de su casa el sábado 6 de abril de Via del Fontanile Arenato".
OBRA:
Estate di Elisa Sansovino, «Quaderni di Prato pagano», Il Melograno-Abete Edizioni, Roma, 1985
Cuore, Cieli celesti, Rotundo, Roma, 1988
Elemosine Eleusine, Edizioni della Cometa, Roma, 1989
I begli occhi del ladro. Beppe Salvia e Pasquale Di Palmo (a cura di), Il Ponte del Sale, Rovigo, 2004
Un solitario amore,a cura di Emanuele Trevi e Flavia Giacomozzi, Fandango, Roma, 2006
A escribir he aprendido de los amigos,
pero sin ellos. Tú me has enseñado
a amar, pero sin ti. La vida
con su dolor me enseña a vivir,
pero casi sin vida, y a trabajar,
pero siempre sin trabajo. Entonces,
entonces he aprendido a llorar,
pero sin lágrimas, a soñar, pero
no veo en sueños más que figuras inhumanas.
No tiene ya límites mi paciencia.
No me queda paciencia para nada, nada
queda ya de nuestra fortuna.
También a odiar he acabado aprendiendo
de los amigos, de ti, de la vida entera.
BEPPE SALVIA, en Antología de poetas suicidas,
Varios autores, edición de José Luis Gallero,
Árdora Ediciones, Madrid, 2005, 348 págs.
a Lettere musive, "Prato Pagano"
LETTERA
Viene la sera, è vero, silenziosa
piove una luce d'ombra e come
fossero i nostri sensi inevitabili
improvvisi, noi lamentiamo
una più vasta scienza.
Aver di quella il frutto
appariscente, la bella brama,
e l'ombra perfino, di sussurri
e di giochi, come bimbi.
Ma io lo so Serena io non posso,
in questi tempi segnati dal segreto
di cui s'invade
la nostra intimità,
vivere adesso se non con tale affanno
e così lieve.
Di questo amaro stento già si fa più vero
un sentimento pago di letizia, al modo
che alla sera insieme
andando per le strade
chiare, l'ho visto, d'ombra
e di segreto,
noi siamo tra i perduti lumi
esseri più miti di chi
venuto prima di noi
ebbe solo a soffrire
salvi quasi per caso, e in questo prodighi.
I baci sono bellissimi doni.
PRIMAVERA
In strada come una greppia gli amori,
l'acero festoso salirlo averne
prova, maldestro rampicarsi e i cori
fanciulli che si dan briga, saperne
l'errore novissimo che speranza
rinnova, ed altro coro è allegra danza
nel cuore mio che ammira, l'amore, tra
questo ardire bello ch'è prossimo
ad ogni età fanciulla e là dentro
fanciullezza del corpo acerba e lieta,
unisono splendente l'arco, corda
d'un suono solo, tende ad origine
e scocca vertigine d'un raggio ov'è
fida malìa accorgere mestizia
splendente
ESTATE
Di morte m'ha destato il sordo vanto
quel traversar pallido e stanco
il seno d'un prato bruciato, rosse
le ferme corolle segnano i fossi
come volesser, stralunato manto,
il disegno astrale suggerir, ecco
or nel secco vento la curva stanca
della luna al vanire s'affanna,
bruciano le corolle un fuoco vcchio,
al sole ed alla luna opposti astri
fan specchio, immillano quell'altera
vicenda dei due lumi l'ale affannate
terse d'uno sfex ch'ora s'aggrava,
va, sullo stelo d'uno di quei pesti
fiori del prato che sembrano i sitri
sopiti dell'egro strumento dell'anno.
AUTUNNO
La posa d'un abito spento e di quel
bianco vestito accanto della sposa
m'innamora; davanti la chiesetta
fanno festa, fan le fotografie,
fugge un bimbo quelle malinconie,
corre allo staccato e già s'affretta
a tornare spaventato dalla rossa
coda d'un galletto che grida or quel
suo strido molesto; è che s'è fatto
nero un nembo di tempesta, rotola
il lombo, la festa malinconicamente
sotto la fredda quercia un vento
ha spenta; piove, fa scuro,or cola
una lacrima lesta; quell'unica
festa il piovasco ha rubata alla sposa.
E non rapida foglia scende ove
è rapita la veglia, fiocco lento
bensì s'appresta al volo, lieve neve,
misterioso duttile bianco manto
che rende chiarità serena come
specchio ove posi l'abile libertà
d'un cavallino nero, e poche bave
di fronde su neri stecchi, novità
belle è quella bella gronda soffice
dove la taccola tace e gli occhi miei
fissano il lume che mescola luce
a quelle piume rapite d'un soffio
di freddo, come il disegno sprezzato
il volessi schizzar d'un sogno doppio
che sdegna luci ombre che riposa
in un pianto nevoso e senza voci.
Poesie inedite
La notte è lunga a chi non può dormire
E frutta il sonno di nessuno sotto le ciglia
Se posso pensarti mancina come vieni
E racconti non smetti mai di dirmi -
Non smetti mai di sciogliere le voci
Il bianco sonoro il rosso odoroso
Dell'autunno, la mia vita prima che sia l'alba
La tua bocca inzuccherata di sangue -
Allora non fa davvero così male, rapimento
Dei sensi smagriti, in confidenza al loro rossore
I turbinii dei nomi e dei cognomi
Rapimento puro come un occhio puro
Come il semplice ascolto quando cadono le immagini
Il nodo della rete che accalappia il cacciatore.
Io ti invito allo sguardo calmo, quello
Che non esclude albe e crepuscoli ma li contempla
Anche se povero di mezzi, pensa agli acquazzoni
Di primavera che illuminano il verde.
E alle radure che si dilatano le ore
Nelle vasche che il cervello ruba al sonno
E restituisce, in globi trasparenti di veleno -
La morte scalpita a cavallo in questo paese - come
da sempre
Io ti ascolto rinascere per la china dei giorni
Giorni e giorni come un alacre contadino ed un
Archeologo paziente, in quanto sei sporgenza e
insieme fiume
La nivea contrazione che mi assorbe, i nudi
Ricordi che mi assalgono, la casa che si squarcia, infine
Mi arricciolo in capriola mi addormento e faccio un
sogno.
Di qui si vede finalmente il cielo
muto ed eterno e poi di luce chiuso
esso è l'intero aere che racchiuso
l'eremo austro del mistero
lo spande a lacrime e luce e luce
ancor piana ancor grande, anche felice
d'ombra inaccessibile, per tutte chiare
cose e qui nell'intimo cuor del glicine,
che verdeggiando su muri, tacito
e odoroso, chiude l'orto conosciuto
e quasi sol col suo nudo profumo
apre all'immensità d'un volto d'uomo
che di lontano da noi sorride, dio
dell'eterno, con occhi pii e ciglia
ridenti, astratto quasi futuro
Dilaga la tua fronte bianca e sento
Infrangersi e seguire il crollo
Di una diga i lunghi
Affanni, ed un colore acuto nelle vesti:
La fronte d'alito vento e chiome e fronde
Apparsa in sua natura chiara e tanto
Lindi gli occhi che il mio bene accoglie
E inganna, e la stanchezza di quei tenui drappi,
L'occhio piroscafo - in essa i nidi calici - e
Rimuove aurorali alte tempeste
E aurore boreali che esplodono in guazzi di
Dolore i cervi, e le anguille, il mondo intero
Posati - Rimani ancora assorta - Rimani ancora
un'ora
Noi siamo i gusci vuoti e secchi
Rumori che non osiamo ascoltare
...
Allontana da me questo fuoco.
da "Cuore"
Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non v'ho messo mano
ancora. Tutta grigia e malandata,
con tutte le finestre rotte, i vetri
infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo
ch'è ancora tutto ingombro di ferraglia,
e perché da qui si può vedere quasi
tutta la città. E la sera al tramonto
sembra una battaglia lontana la città.
io amo la mia casa perché è bella
e silenziosa e forte. Sembra d'aver
qui nella casa un'altra casa, d'ombra,
e nella vita un'altra vita, eterna.