miércoles, 29 de julio de 2015

ARTURO ONOFRI [16.654] Poeta de Italia


Arturo Onofri 

(Roma, 15 de septiembre de 1885 - Roma, 25 de diciembre de 1928) fue un poeta y escritor italiano, uno de los más grandes poetas metafísicos italianos del siglo XX.

OBRA:

Poesía 

Liriche, Roma, Vita letteraria, 1907.
Poemi tragici, Roma, Vita letteraria, 1908.
Canti delle oasi, Roma, Vita letteraria, 1909.
Disamore, Roma, Vita letteraria, 1912.
Liriche, Napoli, Ricciardi, 1914.
Orchestrine, Milano, La Diana, 1917.
Arioso, Roma, Bragaglia, 1921.
Le trombe d'argento, Lanciano, Carabba, 1924.
Terrestrità del sole, Firenze, Vallecchi, 1927
Vincere il drago!, Torino, Ribet, 1928.
Simili a melodie rapprese in mondo, Roma, Al tempio della Fortuna, 1929.
Zolla ritorna cosmo, Torino, Buratti, 1930.
Suoni del graal, Roma, Al Tempio della Fortuna, 1932.
Aprirsi fiore, Torino, Gambino, 1935.
Ritorno alla casa rustica

ENSAYOS: 

Riccardo Wagner, Tristano e Isotta. Guida attraverso il poema e la musica , Milano, Bottega di poesia, 1924.
Nuovo rinascimento come arte dell'io , Bari, Laterza, 1924.
Giovanni Pascoli. Scritti editi e inediti , a cura di Franco Lanza, Bologna, Boni, 1990.




Presentamos, en traducción de Mario Bojórquez, una prosa de Arturo Onofri (1885-1928). Además de poeta fue periodista. Publicó, entre otros libros de poemas,  Liriche, Poemi tragici, Canti delle oasi, Disamore, Orchestrine, Arioso, etc. Fue un defensor de la lírica e introductor del simbolismo y el pensamiento de Bergson en Italia.


De Orchestrine

Mañana de Orvieto

Del negro de una ventanilla mohosa de siglos, de la cual escurre un fresco claror de geranio, inesperadamente una cabeza rubia, una sonrisa, sobresale en el rayo rasante de la mañana, con la bengala feliz de su cabello de aurora.

¡Oh saludo de gracia por esta jornada! En el temblor de mis rodillas yo ya te llevo celosamente en mí, con un paso que quiere así huir por debajo del sendero lila del campo.

Y reúno de ti un sentido, una consternada alegría, no la flexión del cuello cuando giro perdida la cabeza hacia tu desaparición, sino poco después, delante de la casa fragante, por un bebé que llora junto a mí, cerca de un buey que lame el verde del cielo, donde se disuelve poco a poco la última estrella.

¡Así en el plácido sonido de una campana que sólo ahora nos emociona!, recuerdo haberla incluido en mi último sueño del alba, tú te diluyes en mí por ser ahora conservada sin decepción; y no eres más que un saludo por hoy, una bengala dorada de una ventanilla negra mohosa de siglos.

Traducción del Italiano de Mario Bojórquez.

Onofri, Arturo, Orchestrini, en Poeti Italiani del Novecento, Pier Vincenzo Mengaldo, Mondadori, Milán, 1990, 1102 pp.



POESIE DI ARTURO ONOFRI


LA FALENA

Per la finestra, aperta sull'odorosa terrazza,
entrata è una falena volubile e freddolosa,
che tintinnando il fragile suo corpo alla lampa oleosa
dà di cozzo nel vetro sì forte che sembra pazza.

Vedendola tanto irata perché non può struggere l'ale
alla fiammella rinchiusa, una feroce pietà
di lei mi prende... e il vetro sollevo... pensando se tale
non sia l'anima umana che cerca felicità.

(da Poemi tragici, 1908)





PER VIVERE, SOLTANTO

O Terra, o Madre, fa ch'io più non riesca a pensare
ma ch'io viva soltanto; viva come, d'agosto,
i nidi delle rondini partite verso il mare:
i nidi dove al vento tremano ancora, nascoste,

tenere piume dei nati che per la prima volta
le madri spinsero al volo, alcuni giorni innanzi
la migrazione sul mare. O Madre, ascolta, ascolta:
fa che nell'anima mia tremino, soli, avanzi

di piume che s'impigliarono spiccando il primo volo.
Ma se non vuoi mutarmi in nido, fa che almeno
io sia come quel pazzo che a mezzogiorno, solo,
in mezzo alla strada ardente, dirige con una canna,

dimenando le braccia, l'orchestra delle cicale.
Ch'io dimentichi tutte ma tutte le parole,
ch'io senta i polmoni gonfiarsi del tuo fresco respiro
e ch'io non lo sappia lodare che in un lungo sospiro.

Fa ch'io mi creda un sèrpere di fiume, calmo, argenteo
le notti di luna piena; e il mio fluire lento
non abbia che silenzio, nella murmurea voce.
Fa ch'io sia soddisfatto come al mare una foce.

Ma se mi meditasti, o Terra, con grande fatica,
perch'io ricordi agli umili le fonti della vita
soave che tu ci desti: Madre possente e pudica,
fa di me quel che vuoi, poi ch'è tua la mia vita.

(da Canti delle oasi, 1909)






PARTENZA

  Coi suoi colombi candidi, la casa ha preso il volo alla volta del mare.
  All'alba, con uno scrollo leggero, ha fatto scricchiolare le sue radici di pietra e le ha liberate pian piano dal tenero della collina.
  S'è svincolata a un tratto, tra il frullo dell'ali, dai bei roseti rampicanti lungo i suoi muri celesti, che invano hanno provato a trattenerla, e son ricaduti giù sugli umidi incavi delle fondamenta.
È rimasta solo la siepe verde con gli olmi a cerchio in attesa, e gli alveari che sudano di miele presso l'aiola turchina dei giaggioli, - e un merlo che chioccola un istante sul lapillo finofino del giardino.

(da Orchestrine, 1917)






MATTINATA

Lo senti il sapore dell'aria, stamani!
È un sapore d'erba e d'arancia,
come i giardini di favola
che dormono in balsamo ancora
nella nostra memoria infantile.
Arieggia, il tuo gesto ilare,
l'ombra oscillante del salice;
e all'insaputa fai cenno
alle curve lontane dei monti
che il vento assiepato nasconde d'azzurro.
Ma il tuo dolce brio forse allude
al fiato di neve irreale
che esalano fino quaggiù
i paesi che cela il sole,
nelle lontananze gelate.
Non canta un uccello, e siamo così felici!
Una favilla traluce dal cuor del ciottolo
che il tuo passo scavalca senza distrarsi,
e intanto nell'erba assorta
circola e trema improvviso
il soffio che vi dormiva.
Senti? Questa è la voce
che non l'orecchio intende
ma il trasalire solo del tuo silenzio
dedito al sogno celeste della musica.
Questo è il mattino
color del mio brivido.
Ed io con parole innocenti
vado come palpando
i fuggitivi contatti di questi momenti col cielo:
sono altrettanti saluti d'amore
al bel clima di felicità silenziosa
specchiata nel giro del nostro orizzonte.

(da Arioso, 1921)






Ecco il ritmo frenetico del sangue,
quando gli azzurri tuonano a distesa,
e qualsiasi colore si fa fiamma
nell'urlo delle tempie.
Ecco il cuor mio nella selvaggia ebbrezza
di svincolare in esseri le forme
disincantate a vortice di danza.
Ecco i visi risolti in fiabe d'oro
in lievi organi d'ali.
Ecco gli alberi in forsennate lingue
contorcersi, balzar fra scoppiettii
di verdi fiamme dalla terra urlante.
E fra l'altre manie del mezzogiorno,
ecco me, congelato in stella fissa,
ch'esaspero l'antica aria di piaghe
metalliche, sull'erba di corallo.
(Pulsa il fianco del mare sul granito
come un trotto infinito di cavallo).
(da Terrestrità del sole, 1927)





La terra sogna l'ultime farfalle
prima di risvegliarsi autunnalmente
dai veli del suo sonno trasparente
ammassati nel cavo della valle.
Volano, insieme con le foglie gialle,
sui prati, ove l'erbette macilente
s'estenuano in un soffio ond'ella sente
crescere, in ombra, funghi, muschi e galle.

Battono l'ali pavide, al riparo
delle fratte, palpandovi di fuga
fiori non più, ma qualche sterpo amaro.

Umida luce ombreggia di viola
la terra in dormiveglia, che si ruga
già del risveglio che nell'aria vola.

(da Vincere il drago!, 1928)






Simili a melodie rapprese in mondo,
quand'erano sull'orlo di sfatarsi
nei superni silenzi, ardono pace
nel mezzogiorno torrido le ondate
ferme dei pini, sul brillio turchino
del mare che smiracola d'argento.
E ancora dalle masse di smeraldo
divampa un concepirsi incandescenze;
ma un pensiero di su le incenerisce
in quella pausa d'essere ch'è cielo:
azzurreggiar di tenebra, che intima
(dal massiccio dell'alpe all'orizzonte)
ai duri tronchi ergersi alati incensi
a un dio sonoro, addormentato, in forma
d'un paese celeste sulla terra.
(da Simili a melodie rapprese in mondo, 1929)







L'anima, che trasvola dal mio corpo
dentro il sonno abissale d'ogni notte,
riflette in sé le costellazioni
massime; e immaginando, entro la sfera
della sua breve nuvola, il superno
giro dei dodici astri eterni, specchia
in sé l'ordine identico dei mondi.
Quando poi, sull'aurora, torna mia
la veglia di quell'anima celeste,
porto nel ritmo ciclico del sangue
dodici forze d'oro per la vita,
dodici gruppi di potenti suoni,
benché taciuti in organi di terra.
(da Zolla ritorna cosmo, 1930)







Mestizia d'un arcangelo è il tuo volto
generato dal casco dei capelli
che nei tuoi sguardi amplifica l'ascolto
del mare in salmodie d'astri gemelli.
La chiusa ansia del seno, ove è raccolto
il tuo voler ricevere i novelli
spiriti del mio sangue, insù rivolto,
freme d'ardore nei tuoi fianchi snelli.

Ma il molleggiante ritmo dei tuoi lievi
piedi, ove siamo entrambi un cielo solo,
àlia da terra angelici sollievi.

O creatura emersa dal mio petto,
tu sveli in me l'altro inattinto polo
del voler mio, che in te si fa perfetto.

(da Suoni del Gral, 1932)






Il gruppo dei tuoi boccoli, che il vento
sviluppa di sollievi musicali
sulla fronte infantile, suona argento
di voci, nei miei sogni prenatali.
Con l'onda che al mio petto ansa in accento
di fanciullezza eterna, ecco trasali
fra l'impeto dei giuochi in movimento,
e mi sfiori con gli occhi pieni d'ali.

Si stende il prato color giorno, e sembra
vivo tappeto d'oro sulla terra
oscura, che vi occulta le sue membra.

Tu sorgi come un fiato dalla zolla 
profonda che il tuo calice disserra:
farfalla in fiore, o volo di corolla.

(da Aprirsi fiore, 1935)







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